Invece di un ammorbidimento, il conflitto tra Israele e Iran sta diventato sempre più acceso, con salve di missili sparati da entrambi i fronti e con la minaccia di un intervento degli Stati Uniti. In questo contesto, la mattina del 19 giugno 2025 Behnam Saeedi, membro del Comitato per la Sicurezza Nazionale del parlamento iraniano, ha dichiarato che "l'Iran ha una varietà di strategie per contrastare i suoi nemici e sceglie queste strategie in base alle circostanze prevalenti" e ha presentato la chiusura dello Stretto di Hormuz come una delle "possibili risposte" dell'Iran alle aggressioni straniere.
La domanda è se può veramente farlo. L’Iran non ha una marina militare con grandi navi, che comunque non potrebbero contrastare quella statunitense, già presente in forze nell’area. Però il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (Irgc) dispone di una flotta estesa di piccole imbarcazioni d'attacco veloce, corvette missilistiche catamarano e sottomarini tascabili. Negli ultimi tre anni, ha commissionato centinaia di nuove navi, incluse quattro corvette missilistiche catamarano progettate per operazioni in alto mare. Le tattiche iraniane per una potenziale chiusura includerebbero l'uso di mine navali, che storicamente rappresentano una delle possibilità più immediate per fermare o rallentare il traffico marittimo nello stretto. L'Iran potrebbe anche utilizzare missili da crociera e balistici lanciati da terra, oltre a droni kamikaze. Non bisogna poi dimenticare la guerra elettronica, che si attua con interferenze del segnale satellitare, che possono causare gravi incidenti.
Le conseguenze di una chiusura, ma anche solo di una rarefazione o un rallentamento del traffico marittimo, sarebbero gravi, soprattutto per l’Europa. Lo Stretto di Hormuz rappresenta il "chokepoint più significativo per il transito petrolifero mondiale" secondo l'Amministrazione Informazioni Energetiche degli Stati Uniti. Vi passano quotidianamente circa 20-21 milioni di barili di petrolio, pari al 20% del consumo mondiale. La dipendenza da questo passaggio varia tra i Paesi produttori, con il Kuwait che fa transitare tutte delle sue esportazioni attraverso lo stretto, seguito dall'Iraq (95%) e dagli Emirati Arabi Uniti (85%).
A differenza del Mar Rosso, che ha l’alternativa della circumnavigazione dell’Africa, la navigazione per il Golfo Persico attraverso lo Stretto di Hormuz non ha alternative marittime. In caso di chiusura dello stretto esistono diverse alternative con oleodotti, ma offrono capacità limitate rispetto ai volumi marittimi. L'Arabia Saudita dispone della Petroline (anche nota come East-West Pipeline), che attraversa il paese dall'impianto di Abqaiq fino al Mar Rosso con una capacità nominale di circa 4,8 milioni di barili al giorno. Attualmente opera solo parzialmente, lasciando una capacità di riserva di circa 2,8 milioni di barili al giorno. Gli Emirati Arabi Uniti operano l'Abu Dhabi Crude Oil Pipeline con una capacità di 1,5 milioni di barili al giorno, che collega i campi petroliferi onshore di Abu Dhabi al porto di Fujairah nel Golfo di Oman, permettendo alle spedizioni di petrolio greggio di evitare lo Stretto di Hormuz. Il Governo ha pianificato di aumentare questa capacità a 1,8 milioni di barili al giorno nel prossimo futuro.
Sull’andamento del prezzo del petrolio gli analisti prevedono scenari molto diversi a seconda della durata e dell'estensione di una potenziale chiusura. Deutsche Bank stima che uno scenario di chiusura totale che interrompa 21 milioni di barili al giorno per due mesi potrebbe spingere il petrolio oltre i 120 dollari al barile, mentre Rabobank suggerisce addirittura un possibile picco verso i 150 dollari al barile, ricordando che nel 2022, dopo l'invasione russa dell'Ucraina, il Brent ha brevemente toccato i 139 dollari .
Ma da Hormuz non passa solo petrolio. Il gas naturale liquefatto presenta una vulnerabilità ancora maggiore, perché da qua transita il venti percento del suo commercio mondiale e tutto quello estratto dal Qatar, che è il secondo maggiore esportatore mondiale. L'80% di questi volumi è destinato all'Asia, mentre l'Europa riceve circa il 20%, il che significa che l’interruzione del transito intensificherebbe la competizione tra le regioni. Il Qatar ha già adottato alcune precauzioni, chiedendo alle navi Gnl di attendere fuori dallo Stretto di Hormuz fino a quando non sono pronte per caricare. Questa decisione indica il livello di preoccupazione che c’è tra i principali esportatori energetici.
C’è poi il comparto dei prodotti non energetici. I porti del Golfo Persico, come Jebel Ali e Khor Fakkan, sono diventati importanti hub di trasbordo di container a livello globale, con servizi feeder che si estendono al Golfo Persico, all'Asia meridionale e all'Africa orientale. Un’importante parte del carico da questi porti è destinata a Dubai, che si è affermata come hub di trasbordo dalle grandi portacontainer a quelle feeder che hanno un ampio raggio d’azione, dal Golfo Persico all'Asia meridionale e all'Africa orientale. Una interruzione o ritardi in questa filiera si ripercuoterebbe su una vasta area, con interruzioni di catene logistiche e intasamento dei porti.
Chi sta immediatamente reagendo sono le assicurazioni marittime, che hanno già aumentato i premi per le navi che transitano a Hormuz. Secondo Marsh McLennan, il maggiore broker assicurativo mondiale, i costi dell'assicurazione scafo e macchinari per le navi che operano nella regione sono aumentati da 0,125% a 0,2% del valore della nave, un incremento di oltre il 60% . Ciò significa che assicurare una nave da 100 milioni di dollari ora costa circa 200mila dollari, rispetto ai 125mila dollari precedenti. Sono aumentai anche i premi assicurativi per il rischio di guerra per i transiti nel Mar Rosso e le coperture relative ai porti israeliani sono triplicate fino a raggiungere lo 0,7%. Inoltre, la validità delle quotazioni è stata ridotta a 24 ore dalle precedenti 48 ore, indicando la crescente volatilità del mercato.