Il 16 aprile 2025 Fermerci ha presentato alla Camera il rapporto annuale sul trasporto ferroviario delle merci nel 2024, redatto in collaborazione con Pwc, Rse e Università Federico II di Napoli. La radiografia mostra un arretramento rispetto alla ripresa registrata al termine della pandemia di Covid-19: i treni hanno percorso 51,2 milioni di chilometri e generato un traffico di 23 miliardi di tonnellate-chilometro, quasi il 5% in meno rispetto al culmine raggiunto nel 2021. La flessione è stata aggravata dai colli di bottiglia che hanno rallentato la rete, dalla lunga chiusura del traforo del Frejus ai cantieri finanziati con il Pnrr. Proprio ai valichi alpini si è registrata la frenata più brusca, con volumi in discesa verso Svizzera e Francia. Il Nord resta il baricentro dei traffici, ma negli ultimi anni l’aumento più marcato si osserva in Sicilia, mentre il Nord-Ovest arretra, segno che i distretti manifatturieri tradizionali soffrono più degli altri.
La rete di Rfi è ormai in cronica congestione: un tratto su sei è saturo per molte ore al giorno e l’intasamento riguarda soprattutto le principali arterie merci. L’adeguamento ai treni lunghi 740 metri, l’adozione della sagoma europea e la diffusione dell’Ertms promettono di liberare capacità, ma nel frattempo i cantieri costringono a deviazioni che allungano i percorsi e gonfiano artificiosamente gli indicatori. Nei porti e negli interporti restano da sciogliere i nodi di ultimo miglio e i costi delle manovre, un freno che rafforza la competitività della gomma sulle distanze brevi.
Il confronto continentale racconta un’Italia in ritardo: nel 2022 la quota ferroviaria nazionale è scesa al 12,4%, unica flessione tra le grandi economie dell’Unione. Germania, Austria e persino la Spagna hanno invece registrato piccoli ma significativi progressi. Gli osservatori europei ribadiscono che senza incentivi stabili e infrastrutture all’altezza degli standard comunitari il trasferimento di merci dal camion al treno resta un obiettivo lontano.
Il rapporto afferma che cinque sfide definiscono l’agenda del settore. La prima è la congiuntura industriale: dal 2019 la produzione italiana ha perso oltre sei punti, un crollo che taglia la domanda di trasporto pesante. La seconda è la transizione ambientale: il Piano Nazionale Energia e Clima impone ai trasporti di ridurre i consumi di sette milioni di tonnellate equivalenti di petrolio entro il 2030 e di triplicare l’energia rinnovabile usata dai treni.
La terza sfida è la digitalizzazione: l’Italia deve equipaggiare quasi diciassettemila chilometri con l’Ertms, integrare le piattaforme di scambio dati e sperimentare l’accoppiamento automatico dei carri, ma servono risorse per adeguare il materiale rotabile e colmare il divario di tracciabilità rispetto alla strada. A tutto questo si aggiunge la richiesta di filiere più resilienti dopo anni di crisi internazionali: le imprese pretendono trasporti ridondanti e visibili in tempo reale, esigenza che la rete su rotaia soddisfa ancora a metà. Infine, il tema della capacità: si stima che il mercato contendibile dal treno equivalga al quindici per cento dei volumi stradali, ma la rete è già vicina al limite e manca una regia che dia priorità ai convogli merci quando lo spazio è scarso.
Gli operatori puntano sugli incentivi, ma la continuità resta una chimera. Ferrobonus e Norma Merci hanno sostenuto i servizi intermodali, tuttavia i fondi variano ogni anno: per il 2027 sono previsti appena dieci milioni di euro a fronte dei trentadue programmati per il 2026. Le regioni hanno introdotto contributi locali, ma gli stanziamenti sono frammentati e di durata limitata. Il comparto chiede quindi un orizzonte pluriennale, risorse per compensare i disagi dei cantieri e un sostegno stabile ai costi di nodo, tallone d’Achille delle relazioni brevi.
Dal confronto con gli operatori emerge un consenso netto sulla necessità di digitalizzare la catena intermodale. Il portale EasyFreightRail è accolto come un passo avanti, ma tutti invocano dati operativi in tempo reale per abbreviare le prenotazioni e reagire alle anomalie di viaggio. Sul versante della domanda, la voce della sostenibilità si fa più forte: con l’estensione del sistema europeo delle emissioni al trasporto su strada prevista per il 2027, la differenza di costo potrebbe ridursi e molte aziende, obbligate a rendicontare la propria impronta carbonica, iniziano a chiedere la rotaia nelle catene logistiche. Il settore, tuttavia, paga la cronica scarsità di macchinisti e tecnici digitali, aggravata dalle nuove aspettative di equilibrio fra vita e lavoro espresse dalle generazioni più giovani.
Il rapporto conclude sostenendo che per la ferrovia merci il 2025 rischia di essere l’anno della verità. Le chiusure e i lavori in corso potrebbero deprimere ulteriormente i volumi, ma la combinazione di obblighi climatici, riforma del mercato della CO₂ e nuove tecnologie offre un vantaggio competitivo inedito. Presentando la relazione, il presidente di Fermerci, Clemente Carta, ha ribadito che il comparto ha bisogno di certezze.
Egli ha precisato che “è fondamentale garantire un quadro regolatorio stabile e prevedibile, affinché le imprese possano programmare gli investimenti e operare in modo efficiente”. L’associazione valuta positivamente i lavori sull’infrastruttura ferroviaria, che renderanno la rete più sicura e armonizzata con gli standard europei. “Tuttavia,
fino al completamento di questi interventi, è indispensabile prevedere adeguati ristori economici per gli operatori colpiti dalle interruzioni della rete. In assenza di queste misure, il rischio concreto è quello di compromettere ulteriormente la tenuta del settore, già fortemente provato da una congiuntura economica sfavorevole e da un contesto internazionale incerto”, ha aggiunto Carta.
Il presidente di Fermerci ha concluso l’intervento con una richiesta al Governo: rendere strutturali e aumentare gli importi degli attuali incentivi al traffico (Ferrobonus e Norma Merci). Chiede, inoltre, di rifinanziare l’incentivo per l’acquisto di locomotive e carri ferroviari: le imprese hanno già investito oltre 700 milioni di euro “confidando in un sostegno pubblico che, ad oggi, non è ancora stato erogato”.