Dopo settimane d’intensa speculazione e forti reazioni da parte dell'industria marittima globale, l'amministrazione Trump ha svelato il 17 aprile 2025, i dettagli del suo controverso provvedimento economico nei confronti delle navi provenienti dalla Cina. Le misure, che entreranno in vigore a partire dal 14 ottobre 2025, rappresentano un significativo ammorbidimento rispetto alle proposte iniziali circolate a febbraio, ma mantengono alta la tensione tra Washington e Pechino. Il piano definitivo prevede l'imposizione di tariffe sia sulle navi di proprietà e operate da entità cinesi, sia su quelle costruite in Cina ma gestite da operatori di altri Paesi che fanno scalo nei porti statunitensi. L'obiettivo dichiarato dalla Casa Bianca è contrastare quello che è definito il "dominio" cinese nel trasporto marittimo, logistico e della costruzione navale, con la speranza di rivitalizzare la cantieristica americana e rafforzare la resilienza della catena di approvvigionamento nazionale.
Per le navi di proprietà e operate da cinesi, il provvedimento introduce una tariffa iniziale di 50 dollari per tonnellata netta per ogni primo approdo in un porto statunitense per viaggio. Questa cifra è destinata a crescere progressivamente nei prossimi anni: un aumento di 30 dollari all'anno porterà la tariffa a toccare i 140 dollari per tonnellata netta nell'aprile del 2028. È importante sottolineare che la tariffa sarà applicata una sola volta per viaggio e non più di cinque volte all'anno per singola nave.
Anche le navi costruite in Cina ma operate da compagnie non cinesi saranno soggette a dazi, sebbene con un regime tariffario differente. A partire dal 14 ottobre, queste imbarcazioni dovranno pagare 18 dollari per tonnellata netta oppure 120 dollari per ogni container scaricato (sarà applicato l'importo maggiore tra i due). Anche in questo caso, è previsto un aumento graduale fino a raggiungere i 33 dollari per tonnellata netta o 250 dollari per container nell'aprile del 2028.
Un elemento significativo del provvedimento è l'introduzione di esenzioni pensate per mitigare l'impatto su specifiche categorie di navi. Saranno escluse le imbarcazioni di dimensioni più ridotte, quelle impiegate nel trasporto marittimo a corto raggio e le navi che giungono nei porti statunitensi a vuoto per caricare esportazioni alla rinfusa, come carbone o grano, settori chiave per l'economia americana.
La risposta da Pechino non si è fatta attendere. Il governo cinese ha immediatamente espresso "forte insoddisfazione e ferma opposizione" alle misure annunciate da Washington, definendole un atto protezionistico ingiustificato che danneggerà il commercio globale e la stabilità delle catene di approvvigionamento. Un portavoce del ministero del Commercio cinese ha dichiarato che Pechino "adotterà risolutamente le misure necessarie per salvaguardare i propri diritti e interessi legittimi", senza tuttavia specificare quali contromisure potrebbero essere messe in atto.
L'industria marittima internazionale ha reagito con un misto di sollievo e preoccupazione. Se da un lato l'ammorbidimento delle tariffe rispetto alle proposte iniziali è stato accolto positivamente da molti operatori, che temevano un impatto ben più grave sui costi di spedizione, dall'altro persistono forti timori sulle potenziali ripercussioni economiche a lungo termine. Gli analisti ritengono che le tariffe, seppur ridotte, rappresentano comunque un aumento dei costi operativi che inevitabilmente si riverserà sui consumatori e sulle imprese. Inoltre, c'è il rischio concreto di ritorsioni da parte della Cina, che potrebbero colpire altri settori dell'economia americana.
Alcune associazioni armatoriali hanno espresso preoccupazione per la potenziale distorsione del mercato globale e per l'aumento della burocrazia e dei costi amministrativi legati all'implementazione delle nuove tariffe. Tuttavia, anche negli Stati Uniti c'è chi sostiene con forza la necessità di queste misure per proteggere l'industria navale nazionale e garantire una maggiore sicurezza economica.