L’Organizzazione Marittima Internazionale ha compiuto un passo importante nella battaglia contro il cambiamento climatico, approvando un insieme di misure che vuole ridurre progressivamente le emissioni di gas serra del trasporto marittimo fino ad azzerarle entro il 2050. Durante l’83a sessione del Comitato per la protezione dell’ambiente marino (Mepc 83), tenutasi a Londra dall’7 all’11 aprile 2025, i partecipanti hanno definito il primo quadro normativo al mondo che impone limiti vincolanti alle emissioni e introduce un meccanismo globale di prezzo per la CO2, applicato all’intero comparto navale.
Al centro della proposta c’è l’introduzione di una tassa globale sulle emissioni delle navi mercantili, con un’imposta che potrebbe arrivare fino a 150 dollari per tonnellata di CO2. L’obiettivo è incentivare il passaggio dai combustibili fossili a soluzioni più sostenibili come metanolo, ammoniaca o idrogeno, riducendo l’impatto ambientale del trasporto marittimo, che oggi rappresenta circa il tre percento delle emissioni globali. Le discussioni si sono concentrate presso la sede dell’Imo a Londra, dove i rappresentanti dei Paesi membri stanno valutando non solo i dettagli applicativi della tassa, ma anche un protocollo “verde” più ampio per riformare in senso ecologico l’intero settore. Tuttavia, la proposta ha generato forti tensioni diplomatiche, in particolare con gli Stati Uniti.
Washington, che fino a pochi mesi fa era tra i principali promotori della decarbonizzazione marittima, ha annunciato il proprio ritiro dai negoziati, minacciando “misure reciproche” nei confronti dei Paesi che dovessero approvare la tassa. Il cambio di posizione, attribuito alla nuova amministrazione Trump, ha sorpreso molti osservatori, soprattutto dopo che nel 2023 gli Stati Uniti avevano sostenuto con forza l’obiettivo delle “emissioni zero” nel comparto navale. In una nota diplomatica diffusa alla stampa specializzata, tra cui Lloyd’s List e Reuters, Washington ha definito la carbon tax un “peso economico” che aggraverebbe l’inflazione globale, con un impatto diretto sui costi delle importazioni e, quindi, sui consumatori statunitensi.
Nonostante questo passo indietro americano, l’Imo ha approvato il cosiddetto Net-Zero Framework, che sarà formalmente adottato nell’ottobre 2025 e dovrebbe entrare in vigore nel 2027. Il pacchetto si applicherà a tutte le navi superiori a 5.000 tonnellate di stazza lorda, responsabili dell’85% delle emissioni totali del trasporto marittimo, e sarà incluso nel nuovo Capitolo 5 dell’Annex VI della Convenzione Marpol. Il meccanismo prevede la progressiva riduzione dell’intensità emissiva dei carburanti utilizzati, misurata secondo un approccio che considera l’intero ciclo di vita del combustibile. Le navi che supereranno le soglie previste dovranno acquistare unità di compensazione, mentre quelle più virtuose riceveranno incentivi economici.
Elemento chiave sarà la creazione di un fondo, l’Imo Net-Zero Fund, alimentato dai contributi legati alle emissioni. Le risorse raccolte saranno destinate a premiare le navi a basse emissioni, finanziare progetti di ricerca e innovazione, sostenere i Paesi in via di sviluppo e mitigare gli effetti negativi della transizione ecologica su Stati particolarmente vulnerabili, come le piccole isole o i Paesi meno industrializzati.
La proposta di tassa globale ha raccolto il sostegno di circa sessanta Paesi, ma incontra la resistenza di altre potenze marittime come Cina, Brasile, Arabia Saudita e Sudafrica, che spingono per un approccio alternativo basato sullo scambio di crediti di emissione. Questo sistema, noto come “cap-and-trade”, consentirebbe agli armatori di acquistare crediti da chi ha emissioni inferiori ai limiti, ma secondo i suoi critici rischia di favorire i grandi operatori, in grado di “comprare” la conformità senza modificare realmente le proprie pratiche operative.
Le divisioni non sono solo politiche. Anche nel settore privato le posizioni sono contrastanti. Molti armatori temono che i costi della tassa si riflettano direttamente sulle tariffe di trasporto, con ripercussioni sui prezzi al consumo. Nel 2024, per esempio, molte compagnie hanno dovuto deviare le rotte marittime dal Mar Rosso, divenuto insicuro a causa degli attacchi dei ribelli Houthi, scegliendo percorsi più lunghi e costosi attorno al Capo di Buona Speranza. Questa situazione ha già portato a un aumento dei costi operativi e ha accentuato la discussione sull’equilibrio tra sostenibilità ambientale e sostenibilità economica.
Nel frattempo, alcuni grandi vettori stanno investendo in navi di nuova generazione, dotate di sistemi di propulsione a doppio combustibile e in grado di utilizzare carburanti alternativi. È un segnale importante, ma che da solo non basta a ridurre l’impatto complessivo del comparto. Il rischio concreto è che l’uscita degli Stati Uniti dai negoziati possa rallentare l’intero processo di decarbonizzazione, minando gli sforzi per un accordo globale e vincolante. In questo scenario, l’Imo si trova di fronte a una sfida delicata: mantenere il consenso internazionale e portare avanti una transizione ecologica che sia concreta, equa e compatibile con le esigenze economiche degli operatori e dei Paesi membri.