Il 31 ottobre 2025, la Camera ha approvato in via definitiva la Legge quadro sugli interporti, dopo una lunga procedura parlamentare iniziata il 28 febbraio 2024, quando la stessa camera approvò la prima lettura. Poi il testo passò al Senato, dove subì alcune modifiche che richiesero un secondo passaggio alla Camera. La Legge sostituirà la precedente normativa del 1990 e definisce gli interporti “nodi intermodali”, ossia infrastrutture complesse e strategiche dedicate allo scambio di merci tra diverse modalità, sottolineando quindi la prevalenza della funzione intermodale.
Il primo articolo spiega quali sono i motivi della Legge stessa, precisando che la materia rientra nella legislazione concorrente Stato-Regioni. Come abbiamo accennato, uno degli scopi è promuovere l’intermodalità terrestre e nello stesso tempo migliorare le sostenibilità dei flussi di trasporto (economica, sociale e ambientale). La norma ha anche una visione internazionale, perché ha il compito di favorire il completamento delle infrastrutture previste dalle reti trans-europee Ten-T.
Sempre il primo articolo approfondisce la definizione d’interporto, che è aggiornata rispetto alla normativa del 1990. Il nuovo interporto è un complesso organico di infrastrutture e servizi integrati di rilevanza nazionale finalizzato a favorire la mobilità delle merci tra diverse modalità di trasporto. Un elemento importante è che l’interporto deve avere uno scalo ferroviario idoneo a formare e ricevere treni completi e collegamenti con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione. L’interporto rientra tra le infrastrutture strategiche per lo sviluppo del Paese e la loro rete è considerata fondamentale per il sistema nazionale dei trasporti.
I successivi due articoli riguardano le modalità di pianificazione degli interporti e stabiliscono i criteri per crearne di nuovi. Innanzitutto è introdotto un nuovo strumento di programmazione, denominato Piano generale per l’Intermodalità. Per farlo un anno dall’emanazione della Legge, il ministero dei Trasporti dovrà svolgere un censimento degli interporti esistenti e di quelli in costruzione, sulla base della delibera Cipet del 1993. Il piano sarà poi adottato con un decreto del Mit, previa intesa in sede di Conferenza Unificata e previo parere delle Commissioni parlamentari.
La Legge stabilisce un numero massimo d’interporti operanti sul territorio nazionale: trenta. Quelli di nuova costruzione dovranno sottostare a precise condizioni: disponibilità di un territorio senza vincoli paesaggistici o urbanistici; collegamenti stradali diretti alla grande viabilità; collegamenti ferroviari diretti alla rete nazionale prioritaria; collegamenti con almeno un porto o un aeroporto; coerenza con i corridoi Ten-T; utilizzo prioritario di aree già bonificate o strutture preesistenti; sostenibilità finanziaria e flussi di merci adeguati. La norma precisa anche alcune infrastrutture che dovranno esserci nel progetto di un nuovo interporto: un terminale ferroviario intermodale; aree di sosta attrezzate per veicoli pesanti; un servizio doganale (se necessario), un centro direzionale e aree per la logistica e sistemi di sicurezza.
La Legge istituisce, all’articolo 4, un nuovo comitato che deve seguire l’intermodalità e la logistica. Sarà un organo consultivo per la programmazione e il coordinamento dello sviluppo degli interporti, presieduto dal ministero dei Trasporti, o da un suo delegato, e composto dai presidenti delle regioni che hanno interporti sul loro territorio, dal Presidente dell'Unione Interporti Riuniti e dai presidenti degli interporti stessi. Vi potranno partecipare (senza diritto di voto) anche sindaci, presidenti delle Autorità di Sistema Portuale e rappresentanti delle associazioni di categoria. La norma precisa che la partecipazione al Comitato è a titolo gratuito e non prevede compensi o rimborsi.
Per quanto riguarda il governo degli interporti, l’articolo 5 chiarisce la natura giuridica ed economica dei gestori degli interporti, confermando una privatizzazione di fatto già avvenuta. Quindi, la gestione di un interporto è definita un'attività di prestazione di servizi svolta in ambito concorrenziale e i soggetti gestori opereranno in regime di diritto privato. Per garantire la certezza finanziaria degli investimenti, gli enti pubblici concedenti devono costituire un diritto di superficie sulle aree a favore dei gestori, la cui durata è legata agli investimenti effettuati e all'ammortamento dei costi, certificata da una perizia. I gestori potranno riscattare le aree, trasformando il diritto di superficie in diritto di piena proprietà sui beni immobili , attraverso una procedura specifica.
Due articoli, il 6 e il 7, riguardano la questione economica. Il primo autorizza uno stanziamento per finanziare i progetti prioritari di realizzazione e sviluppo, che sarà così distribuita: 5 milioni di euro per il 2025, 10 milioni di euro per il 2026 e 10 milioni di euro per il 2027. L’articolo successivo specifica che queste risorse non sono nuovi oneri, ma provengono da riduzioni di altre autorizzazioni di spesa (dalle Leggi di Bilancio 2018 e 2021).
I progetti da finanziare dovranno essere approvati tramite un accordo di programma (ai sensi del Tuel). Se l'accordo non sarà approvato entro quattro mesi (prorogabili a sei), i progetti decadranno dal finanziamento e le risorse saranno riassegnate. Il testo stabilisce anche che i gestori delle infrastrutture ferroviarie (come Rfi) potranno adeguare i collegamenti "ultimo miglio" , ma con oneri a proprio carico e previa analisi costi/benefici. Inoltre, i gestori interportuali dovranno sottoscrivere contratti con Rfi per adeguare i terminal agli standard europei, in termini di sagoma, modulo e peso assiale).
L’ultimo articolo, l’ottavo, contiene le disposizioni finali, compresa l’abrogazione di gran parte della precedente normativa (la Legge numero 240 del 1990). Le vecchie disposizioni continueranno però ad applicarsi solo ai procedimenti avviati e non ancora conclusi alla data di entrata in vigore della nuova. Infine, Le Regioni (a statuto ordinario e speciale) e le Province autonome avranno sei mesi di tempo per adeguare la propria legislazione ai principi fondamentali della nuova Legge quadro.




























































