Con un voto avvenuto il 3 luglio 2025, le Commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera dei Deputati hanno approvato l’emendamento 4.013, presentato dal Governo nell’ambito del Decreto Legge 73/2025 (cosiddetto Decreto Infrastrutture). La norma interviene sulla disciplina antimafia per l’autotrasporto, introducendo una modifica tecnica che, secondo l’opposizione e parte del mondo associativo, rischia d’indebolire la capacità preventiva dello Stato contro le infiltrazioni criminali. Il Governo, dal canto suo, rivendica un’azione di semplificazione coerente con l’impianto normativo esistente.
L’emendamento s’inserisce in un contesto normativo già controverso. Il Decreto Legge 73/2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 maggio e che deve essere convertito in Legge entro il 20 luglio, vuole garantire la continuità nella realizzazione d’infrastrutture strategiche e nella gestione di contratti pubblici, in particolare nell’ambito del Pnrr e dei grandi cantieri nazionali. Alcune delle prime versioni del Decreto erano già state oggetto di rilievi da parte del Quirinale, che aveva richiesto la rimozione di norme giudicate eccessivamente derogatorie rispetto ai controlli antimafia ordinari.
L'intervento normativo approvato riguarda la modifica dell’articolo 5 del Decreto legislativo 395/2000, che stabilisce i requisiti di onorabilità per l’iscrizione all’Albo degli Autotrasportatori. L’emendamento sostituisce l’attuale riferimento alla “informativa antimafia interdittiva” prevista dall’articolo 91 del Codice Antimafia, con la “comunicazione antimafia interdittiva” prevista all’articolo 88. Si tratta di un cambiamento tutt’altro che secondario: le due formule corrispondono a due diversi strumenti di verifica, con logiche e presupposti profondamente differenti.
L’informativa antimafia (articolo 91) è uno strumento discrezionale attribuito al prefetto, che può agire sulla base di indizi, segnalazioni delle forze di polizia o procedimenti penali in corso, anche in assenza di condanne. Il criterio di valutazione è il cosiddetto “più probabile che non” circa l’esistenza di tentativi d’infiltrazione mafiosa. È uno strumento preventivo, tipico di un approccio di precauzione amministrativa.
La comunicazione antimafia (articolo 88), invece, ha natura di certificato e si basa su presupposti giuridici accertati: condanne definitive, misure di prevenzione patrimoniali o personali, interdizioni disposte dal giudice. I tempi di rilascio sono fissati in trenta giorni, e la sua funzione è di attestare la sussistenza di cause ostative formali, non potenziali.
Proprio su questo passaggio si è concentrata la vivace discussione in Commissione, con le opposizioni – in particolare esponenti del Partito Democratico, Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 Stelle – che hanno denunciato un “pericoloso arretramento” nella lotta alle infiltrazioni mafiose. Il deputato Anthony Barbagallo (PD), capogruppo in Commissione Trasporti, ha presentato un sub-emendamento per mantenere il riferimento all’informativa, sottolineando come numerose imprese siano attualmente sottoposte ad amministrazione giudiziaria proprio grazie a questo strumento. Anche Angelo Bonelli (Avs) ha sottolineato il ruolo cruciale dell’informativa, in particolare in aree del Sud Italia dove il settore dell’autotrasporto – soprattutto quello legato al movimento terra – è da tempo sotto osservazione per potenziali interessi criminali.
A queste critiche ha risposto il viceministro ai Trasporti Edoardo Rixi, sostenendo che l’intervento non mira a ridurre la vigilanza antimafia ma a correggere un’imprecisione normativa che lasciava spazio a interpretazioni eccessivamente estensive, soprattutto in relazione alla durata degli effetti di una informativa. Secondo Rixi, la nuova formulazione garantisce maggiore chiarezza e tutela della coerenza tra procedura amministrativa e normativa antimafia vigente.
La preoccupazione è uscita dall’ambito politico. Cinzia Franchini, presidente dell’associazione Ruote Libere, ha definito l’emendamento come “una porta spalancata alla criminalità organizzata”, denunciando il rischio concreto che imprese sospettate di legami mafiosi, ma non ancora colpite da provvedimenti giudiziari definitivi, possano continuare a operare nel settore. Secondo Franchini, l’autotrasporto resta una delle aree più esposte per il riciclaggio di denaro, l’accesso a fondi pubblici e il controllo della logistica delle merci.
In risposta, il ministero dei Trasporti ha ribadito che la nuova disciplina non riduce la capacità di intervento del prefetto, che mantiene il potere di adottare interdittive in presenza di tentativi di infiltrazione mafiosa. Il Mit ha inoltre chiarito che la modifica serve a rendere più attuale la verifica dei requisiti di onorabilità, evitando che provvedimenti ormai superati continuino a produrre effetti.
Dal punto di vista operativo, l’emendamento alza la soglia probatoria necessaria per l’esclusione dall’Albo degli Autotrasportatori, incidendo in modo rilevante su uno dei tre requisiti fondamentali per l’esercizio della professione: l’onorabilità. Le imprese, in altri termini, rischieranno meno di vedersi revocata l’abilitazione per mere informative, rendendo più difficile per l’amministrazione procedere in chiave preventiva. Un cambio di paradigma che alcuni osservatori considerano preoccupante, specie alla luce dell’attuale fase di rilancio delle infrastrutture pubbliche.
La Direzione Investigativa Antimafia, nella sua ultima relazione, ha più volte sottolineato come il settore del trasporto merci rappresenti un assetto strategico per le organizzazioni criminali, soprattutto in presenza di grandi cantieri, flussi di denaro straordinari e procedure semplificate. Il rischio, ora, è che l’accelerazione voluta dal Governo per facilitare l’avvio delle opere previste dal Pnrr si traduca in un abbassamento dei livelli di attenzione, con conseguenze potenzialmente gravi sul fronte della legalità e della trasparenza.
































































