Il 24 luglio 2025 è terminata la lunga battaglia legale sul risarcimento dei danni ambientali ed economici causati dall’affondamento della portacontainer X-Press Pearl, avvenuto il 17 giugno 2021 a nove miglia a largo dal porto di Colombo, nello Sri Lanka. Quattro anni dopo, la Corte Suprema dello Sri Lanka ha imposto alla compagnia X-Press – compresi proprietari, operatori e agenti locali – di pagare un miliardo di dollari, applicando il principio secondo “chi inquina paga”.
Nella sentenza si legge che il master, l'operatore e l'agente locale della nave "hanno intenzionalmente soppresso e nascosto al Harbour Master del porto di Colombo informazioni veritiere, tempestive, complete e accurate riguardo alla situazione che si era evoluta nel tempo". Il pagamento è stato diviso in tre rate: 250 milioni di dollari entro il 23 settembre 2025, altri 500 milioni entro sei mesi dalla sentenza, e i restanti 250 milioni entro un anno. I fondi devono essere depositati in un nuovo fondo fiduciario denominato "MV X-Press Pearl Compensation and Environment Restoration and Protection Fund".
L’indagine e il processo hanno ricostruito in dettaglio la catena d’eventi che ha portato all’affondamento della nave, ritenuto il più grande disastro ambientale dello Sri Lanka. Una vicenda iniziata l’11 maggio 2021 nel porto di Jebel Ali a Dubai col carico sulla X-Press Pearl – una nave varata appena tre mesi prima - di un container contenete acido nitrico, che cominciò a perdere un litro all’ora. La nave salpò con 1.486 container, di cui 81 contenenti merci pericolose, tra cui 25 tonnellate di acido nitrico, sostanze caustiche, metanolo, resina epossidica e 1.680 tonnellate di pellet di plastica (nurdles).
L’equipaggio della portacontainer scoprì la perdita dopo aver lasciato Jebel Ali e il comandante richiese urgentemente lo sbarco del container ai porti successivi della sua rotta. Il giorno stesso le Autorità portuali porto di Hamad in Qatar rifiutarono però di accogliere il container danneggiato, citando l'indisponibilità di strutture specializzate e competenze tecniche per gestire una perdita di acido nitrico, aggravata dalle festività del Ramadan.
Una situazione analoga si verificò al porto di Hazira in India, dove il terminal rifiutò di scaricare il container che perdeva acido, presumibilmente a causa di limitazioni temporali e dell'assenza di capacità adeguate per gestire merci pericolose danneggiate. Tim Hartnoll, presidente esecutivo di X-Press Feeders, definì questi rifiuti una questione di "not in my backyard" (non nel mio cortile), sostenendo che il disastro avrebbe potuto essere evitato se i porti avessero adempiuto ai loro doveri internazionali.
La portacontainer proseguì quindi la navigazione in queste condizioni, fino all’arrivo nella acque territoriali dello Sri Lanka nella notte del 19 maggio, ancorando a 9,5 miglia nautiche dal porto di Colombo in attesa di un punto di attracco. Il mattino del 20 maggio, l'agente locale Sea Consortium Lanka informò via email il Harbour Master di Colombo della presenza di un container di acido nitrico che aveva bisogno di riparazione al momento dell'attracco.
Intorno alle 16.00 del 20 maggio, l'equipaggio segnalò fumi gialli e marroni provenienti dalla stiva, seguiti poco dopo dalla segnalazione di un possibile incendio nella stiva cargo numero due. L'equipaggio attivò il sistema fisso di estinzione a CO2 nel tentativo di domare le fiamme. Il 21 maggio la lotta contro l'incendio si estese con il dispiegamento di squadre di vigili del fuoco e un elicottero. Nonostante questi sforzi, il 22 maggio si udirono esplosioni nella stiva e la nave prese completamente fuoco. La situazione peggiorò drasticamente il 25 maggio quando forti esplosioni scossero l'intera nave, costringendo all'evacuazione immediata di tutti i 25 membri dell'equipaggio.
Il 31 maggio, con l'incendio sotto controllo, fu presa la decisione di rimorchiare la nave verso un sito a 50 miglia nautiche dalla costa per ridurre al minimo l'impatto sull'ambiente costiero. Tuttavia, il 2 giugno, dopo aver rimorchiato la nave per quasi un miglio nautico, la poppa affondò a circa 9 miglia nautiche dal porto di Colombo e 4,5 miglia nautiche dalla costa. Il 17 giugno, l'intera nave si depositò sul fondale marino a una profondità di circa 21 metri, con solo il castello di prua e una gru parzialmente visibili.
L'incidente rilasciò 46.960 sacchi di polietilene a bassa e alta densità da venti container, versando tra i 70 e 75 miliardi di nurdles di plastica lungo la costa occidentale dello Sri Lanka. Questi microplastici, utilizzati come materia prima per la produzione di prodotti in plastica, si diffusero lungo le coste occidentali, meridionali e settentrionali del Paese. La gravità fu tale che quattro anni dopo l'incidente, volontari continuano ancora a setacciare chilogrammi di questi piccoli pellet dalla sabbia.
Secondo gli inquirenti, l’affondamento della X-Press Pearl causò la morte di 417 tartarughe, 48 delfini, otto balene e un gran numero di specie ittiche che si arenarono sulle coste dopo l'incidente. Il disastro ebbe anche un impatto significativo sui redditi delle comunità di pescatori costieri dello Sri Lanka, con un divieto di pesca imposto per oltre un anno nell'area costiera occidentale, privando i pescatori del loro reddito, sostentamento e diritto al lavoro.
Immediatamente dopo il disastro, lo Sri Lanka presentò nel giugno 2021 una richiesta iniziale di risarcimento di 40 milioni di dollari. Il London P&I Club, assicuratore della nave, iniziò a compiere pagamenti intermedi: 3,6 milioni di dollari nel luglio 2021, 1,75 milioni nel gennaio 2022 e 2,5 milioni nel settembre 2022, per un totale di 7,85 milioni di dollari. Tuttavia, un comitato di 40 esperti istituito dalla Mepa dello Sri Lanka valutò in un rapporto preliminare i danni ambientali a 6,4 miliardi di dollari. Questa valutazione tenne conto delle perdite alla fauna selvatica, al turismo, alla pesca e degli impatti negativi sui residenti locali dalle emissioni tossiche rilasciate durante l'incendio della nave.
Le indagini hanno rivelato multiple negligenze da parte del gruppo X-Press. Il Transport Safety Investigation Bureau di Singapore ha identificato una serie di carenze da parte dell'equipaggio della nave e del porto di Colombo. Quando la perdita dal container fu rilevata per la prima volta, nonostante avesse placche d’identificazione, l'equipaggio non verificò i dettagli del carico e procedette usando segatura per contenere la perdita. Durante il processo, la Corte ha stabilito che la loro condotta aveva violato le norme marittime internazionali sotto Marpol e Solas e il gruppo X-Press Pearl è stato identificato come l'unico inquinatore nella vicenda.
I giudici hanno anche rilevato carenze nell’operato di alcune Autorità dello Sri Lanka. L'Autorità per la protezione dell'ambiente marino Mepa e il suo ex presidente Dharshani Lahandapura furono trovati colpevoli di aver fallito nei loro doveri, il ministro Nalaka Godahewa fallì nel costituire il Consiglio per l'Ambiente Marino, legalmente obbligatorio, e il Procuratore Generale fu criticato per aver fallito nell'incriminare i proprietari/operatori della nave e per aver intentato la causa di risarcimento a Singapore invece che nello Sri Lanka.
Il caso X-Press Pearl ha portato conseguenze anche sulla normativa internazionale, perché ha messo in evidenza gravi lacune nel quadro legale per la gestione dei disastri marittimi coinvolgenti merci pericolose. L'incidente ha avviato discussioni presso l'Organizzazione Marittima Internazionale sulla riclassificazione dei pellet di plastica come sostanza pericolosa sotto il codice internazionale per le merci pericolose. Lo Sri Lanka ha preso l'iniziativa per far riclassificare questo prodotto come sostanza pericolosa sotto il codice Imo per le merci pericolose per una gestione e stoccaggio sicuri e ciò potrebbe avere implicazioni significative per il futuro del trasporto marittimo di materie plastiche.






























































