Trentatré società con sede in Toscana, Sicilia e Lazio che formalmente svolgevano commercio di pallet avrebbero avuto il reale scopo di
riciclare denaro della famiglia mafiosa palermitana di Corso dei Mille, cui appartiene anche Francesco Tagliavia, condannato all’ergastolo per l’attentato al giudice Borsellino, e suo figlio Pietro. Lo afferma un’ampia indagine avviata dalla Guardia di Finanza di Prato e che si è poi estesa in altre zone dell’Italia e partita da accertamenti su documenti d'identità intestati a persone inesistenti e da ingenti flussi di denaro. Nel 2017 è intervenuta anche la Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze perché erano emersi collegamenti con la Mafia siciliana. Durante l’indagine è emersa un’articolata associazione a delinquere che ha creato le società di commercio pallet – alcune delle quali realmente operanti, altri fittizie – che avevano lo scopo di riciclare denaro di provenienza illegale.
La vicenda era iniziata a Prato perché per un certo periodo Pietro Tagliavia era detenuto nel locale carcere e poi, grazie ad alcuni indagati, aveva trascorso gli arresti domiciliari a Campi Bisenzio, da cui manteneva i rapporti con il clan in modo clandestino. È iniziato quindi un flusso di denaro proveniente da attività illegali, tra cui la frode fiscale attuata con fatture per operazioni inesistenti. Questo denaro ha cerato un vortice finanziario tra le imprese che partecipavano al riciclaggio alla frode, alcune delle quelli non erano diretta emanazione del clan mafioso ma appartenevano a imprenditori. Tra le finte società di commercio ce ne erano per esempio due del commercio di pallet che erano intestate a cittadini stranieri in cui sono transitati in due anni circa venti milioni di euro.