Su ispirazione del ministro dei Trasporti, il Governo intenderebbe introdurre nella Legge di Bilancio 2026 la separazione tra FS e Anas, a sette anni dalla loro fusione. Lo ha riferito Repubblica in un articolo del 27 ottobre 2025 e i tecnici del ministero dell’Economia starebbero già lavorando alla separazione dei bilanci per rendere lo scorporo operativo nel 2026. a sostegno di questa notizie ci sono le dichiarazioni del ministro dei Trasporti secondo cui non bisogna confondere “tra cemento e rotaie” e quindi separare le competenze tra chi gestisce i treni e chi si occupa della rete viaria.
La decisione arriva dopo anni di difficoltà nel coordinamento tra Ferrovie dello Stato e Anas e dopo la creazione, nel 2024, di Autostrade dello Stato, società pubblica incaricata della gestione delle concessioni a pedaggio finora detenute da Anas. L’operazione aveva già rappresentato un primo passo di riorganizzazione del comparto stradale. Nel marzo 2025 la nomina di Claudio Andrea Gemme come amministratore delegato e la costituzione dell’Integrated Project Team-Progetto Anas avevano anticipato un processo di ridefinizione industriale in vista di un possibile scorporo.
Secondo le anticipazioni, una volta separata, Anas rimarrebbe interamente pubblica ma con una missione rinnovata: diventare lo strumento tecnico dello Stato per la manutenzione e la sicurezza della rete viaria e per il supporto agli enti locali nella progettazione delle opere stradali. Ferrovie dello Stato, invece, continuerebbe a concentrarsi sul trasporto ferroviario e sulla competizione nel mercato europeo dei servizi passeggeri.
Le motivazioni di questa scelta affondano nelle difficoltà strutturali dell’integrazione avviata nel 2017. Le relazioni della Corte dei Conti hanno documentato più volte la complessità del rapporto tra le due società, evidenziando la “mancanza di effettive sinergie” e la natura ibrida di Anas, vincolata a un contratto di programma con lo Stato che copre quasi tutta la sua attività. Tale vincolo ha reso limitata la possibilità di coordinamento operativo e gestionale con Ferrovie dello Stato, che invece opera come gruppo industriale orientato al mercato.
Il Piano industriale 2022-2031 del Gruppo FS inserì Anas nel Polo Infrastrutture, sotto la direzione di Rete Ferroviaria Italiana. Tuttavia, il regolamento del Polo escludeva dal coordinamento tecnico le attività legate alle concessioni e al contratto di programma, che costituiscono la quasi totalità dell’attività di Anas. Di conseguenza, il governo unitario non ha mai prodotto risultati concreti sul piano delle sinergie operative.
Le difficoltà si sono riflesse anche nei dati finanziari e produttivi. La Corte dei Conti ha segnalato che nel 2021 gli investimenti effettivi di Anas ammontavano a 1,78 miliardi di euro contro i 3,63 miliardi previsti, con uno scostamento del 51%. Anche nel 2022 si è registrato un ritardo analogo (-49%), dovuto in parte a processi autorizzativi lunghi, crisi delle imprese esecutrici e all’impatto dell’emergenza sanitaria.
Per comprendere la portata del ripensamento, occorre ripercorrere il percorso che aveva portato alla fusione. L’operazione nacque nel 2016 su iniziativa del ministro dei Trasporti del governo Gentiloni, Graziano Delrio, con l’obiettivo di creare un “polo unico delle infrastrutture” capace di integrare reti stradali e ferroviarie. Il Decreto Legge 50 del 2017 dispose il trasferimento della partecipazione statale di Anas al Gruppo FS. Con l’aumento di capitale di 2,86 miliardi di euro deliberato il 29 dicembre 2017, Ferrovie dello Stato acquisì il controllo di Anas, dando vita a un gruppo da 44mila chilometri di rete, 81mila dipendenti e oltre 100 miliardi di investimenti programmati nel decennio successivo.
Gli obiettivi dichiarati erano ambiziosi: riduzione dei costi di manutenzione, pianificazione integrata dei corridoi intermodali, utilizzo congiunto di tecnologie per la diagnostica predittiva e un coordinamento unico degli investimenti. Le previsioni parlavano di risparmi operativi per almeno 400 milioni di euro in dieci anni. Tuttavia, fin dall’inizio non mancarono le perplessità. Economisti e osservatori sottolinearono la differenza di natura giuridica e gestionale tra le due società.
Con il cambio politico del 2018, la fusione divenne oggetto di contestazione. Il governo Conte I, sostenuto da Movimento 5 Stelle e Lega, si dichiarò contrario all’operazione. L’allora ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, affermò che “non c’è una singola motivazione di sinergia che giustifichi la fusione”. Nello stesso periodo, l’amministratore delegato di Anas, Gianni Vittorio Armani, che aveva seguito il processo di integrazione, si dimise, sostituito da Massimo Simonini. Nonostante le dichiarazioni politiche, la separazione non fu realizzata. Il piano industriale del 2019 confermò quindi la permanenza di Anas nel gruppo, con un programma di investimenti da 58 miliardi di euro, di cui 14 miliardi destinati alla rete stradale.
Negli anni successivi, però, i limiti dell’integrazione divennero evidenti. Le relazioni della Corte dei Conti, insieme ai ritardi nella realizzazione delle opere, confermarono la distanza tra la logica industriale di Ferrovie dello Stato e quella pubblicistica di Anas. L’inchiesta giudiziaria aperta nel 2024 sulla gestione di appalti e relazioni politiche all’interno di Anas aggravò ulteriormente il quadro, spingendo il Governo a rivedere la struttura complessiva del settore.
Parallelamente, la creazione nel 2024 di Autostrade dello Stato, società pubblica incaricata della gestione delle concessioni a pedaggio, ha privato Anas di alcune delle sue attività più redditizie. Nel 2025 la nuova società ha acquisito da Anas le partecipazioni in quattro concessionarie per un valore di 342,5 milioni di euro, completando di fatto la separazione tra la rete ordinaria e le autostrade a pedaggio.
Sul piano finanziario, Anas continua a ricevere risorse significative attraverso il contratto di programma con lo Stato. La Legge di Bilancio 2022 ha stanziato 4,55 miliardi di euro per il periodo 2022-2036, mentre il Cipess ha approvato nel marzo 2024 il contratto di programma 2021-2025, registrato dalla Corte dei Conti nel giugno successivo. Proprio questo strumento, rimasto fuori dal perimetro di governo del Gruppo FS, rappresenta uno dei principali fattori di incompatibilità tra le due realtà.

































































