Come TrasportoEuropa ha riportato il 23 giugno 2025, il Decreto Legge 84/2025 – pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale numero 138 – introduce il regime dell’inversione contabile dell’Iva (detta anche reverse charge) anche alle imprese di autotrasporto. Per applicarlo bisogna aspettare un Decreto ministeriale attuativo, ma stanno già emergendo serie preoccupazioni degli autotrasportatori sulle conseguenze finanziarie di questo provvedimento. Tra questi, TrasportoEuropa ha raccolto la voce di Rossana Paccagnini, che opera in una piccola azienda di autotrasporto che ha una flotta di dieci veicoli industriali impegnati in prevalenza nella Gdo.
Dopo avere letto il nostro articolo, Paccagnini ha simulato l’applicazione dell’inversione contabile (sulla base anche di una sua precedente esperienza nel settore edile, dove è già in vigore) e ha concluso che se applicata in modo obbligatorio come avviene in altri contesti (come l’edilizia, appunto) potrebbe causare seri problemi di liquidità alle imprese, fino ad arrivare alla bancarotta. Ma come è giunta a questa conclusione? Prima di spiegarlo, riassumiamo in che cosa consiste l’inversione contabile dell’Iva.
L’inversione contabile dell’Iva è un meccanismo fiscale per cui l’obbligo di versare l’Iva non ricade sul fornitore del bene o servizio (in questo caso l’autotrasportatore), ma direttamente sul cliente che lo riceve (il suo committente), purché sia un soggetto passivo d’imposta. In concreto, l’autotrasportatore emetterà una fattura senza Iva e sarà il suo committente a integrarla, registrandola sia tra gli acquisti che tra le vendite, e quindi a versarla allo Stato. È un meccanismo che dovrebbe ridurre il rischio dell’evasione dell’Iva, perché uno dei meccanismi per farlo nella logistica è che un anello della “catena dell’Iva” riceve l’imposta dal committente e la trattiene, senza versarla allo Stato. Riducendo i passaggi dell’Iva, quindi, si dovrebbe ridurre la facilità di evaderla.
Con l’attuale sistema, un’impresa di autotrasporto inserisce l'Iva nella fattura ai committenti e paga a sua volta l’Iva delle fatture dei fornitori. Ogni tre mesi fa i conti tra Iva incassata e quella pagata e, secondo il risultato, avrà Iva a debito (ossia dovrà versare la differenza allo Stato) oppure a credito, quindi riceverà dallo Stato, in forme diverse, la differenza. Normalmente, gli autotrasportatori devono pagare le spese (gasolio, pedaggi, leasing, stipendi) in un periodo compreso fra 15 e 30 giorni. Ciò significa che versano ai fornitori anche la quota dell’Iva, tranne che per le retribuzioni, dove questa imposta non esiste. Si stima che la parte soggetta all’imposta sia nell’autotrasporto pari a circa due terzi dei costi.
Allo stato attuale, c’è ovviamente anche un’entrata relativa all’Iva, quella delle fatture attive fatte ai committenti, che nella maggior parte dei casi sono pagate a 90 e perfino 120 giorni. Paccagnini precisa che nell’autotrasporto la registrazione delle fatture di vendita è differita di un trimestre e ciò significa che l’Iva che il trasportatore deve versare allo Stato è determinata dalla differenza tra l’Iva delle fatture di vendita del trimestre precedente e quella delle fatture di acquisto del trimestre in corso. Questo sistema può essere penalizzante per gli autotrasportatori, ma finora risulta sostenibile, anche perché un'eventuale differenza da pagare si può compensare con il recupero parziale delle accise sul carburante (che avviene anch’esso con frequenza trimestrale).
Che cosa succederebbe con l’inversione contabile dell’Iva? In questo caso l’autotrasportatore continuerebbe a pagare l’Iva delle fatture passive ogni tre mesi (sempre escludendo le retribuzioni), ma non incasserebbe più l’Iva dai committenti, uscendo quindi dall’attuale ciclo di compensazione trimestrale (totale o parziale). Ovviamente, l’autotrasportatore continuerà a recuperare l’Iva versata ai fornitori ma - secondo l’attuale applicazione dell’inversione contabile agli altri settori - per le cifre eccedenti i 5.000 euro dovrà farlo l’anno successivo tramite una dichiarazione annuale e con asseverazione del credito . In pratica, precisa Paccagnini, non prima di aprile dell’anno successivo a quello dell’Iva versata ai fornitori.
Questo ritardo nel recupero dell’Iva versata ai fornitori si abbatte in un settore dove già i pagamenti da parte dei committenti avvengono con forte ritardo, dove i margini di utile degli autotrasportatori sono sottilissimi e che soffre già ora di grave carenza di liquidità: “Già oggi le imprese devono ricorrere agli anticipi bancari per far fronte ai pagamenti e l’introduzione dell’inversione contabile dell’Iva renderebbe la situazione ingestibile perché gli autotrasportatori dovranno di fatto finanziare l’Iva per un periodo troppo lungo, col rischio di numerosi fallimenti”, conclude Paccagnini.
Questa ipotesi vale allo stato attuale della normativa, ossia senza il Decreto attuativo che spiegherà come sarà applicata l’inversione contabile dell’Iva nella filiera logistica. Può darsi che le Autorità competenti abbiano considerato queste conseguenze e abbiano previsto dei correttivi, ma può darsi anche di no. Può darsi che lo abbiano fatto le associazioni degli autotrasportatori e si stiano già muovendo in tal senso a livello ministeriale, però non abbiamo alcun riscontro in tal senso. In tutti i casi, queste voci dell’autotrasporto dovrebbero suonare come campanello di allarme prima di un’eventuale emergenza.
























































