Alterare il cronotachigrafo del camion per falsare i tempi di guida non è soltanto una violazione del Codice della Strada, ma può costituire un reato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 16471 del 2 maggio 2025, confermando la condanna di un camionista che aveva manomesso il dispositivo installato sul proprio camion. Già nel 2016 la Cassazione si espresse in tal senso, ma la recente sentenza porta qualche elemento di novità. Ma prima analizziamo il caso specifico.
La vicenda riguarda un conducente di un autoarticolato, sorpreso a Vasto il 24 luglio 2019 con il cronotachigrafo alterato tramite un magnete. Il caso è arrivato in Cassazione dopo che sia il Tribunale di Vasto, in primo grado, che la Corte d’Appello dell’Aquila, in secondo grado, avevano condannato l’autista a quattro mesi di reclusione con i benefici di Legge per il reato previsto dall’articolo 437 del Codice Penale: rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.
Il ricorso in Cassazione si basava su due principali motivi. Il primo riguardava una presunta violazione del diritto di difesa. L’imputato, secondo il suo legale, non avrebbe potuto presenziare all’udienza del 1° giugno 2022 a causa di problemi di salute, come attestato da un certificato medico. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva respinto la richiesta di rinvio, ritenendo la certificazione troppo generica. La Cassazione ha confermato questa decisione: il giudice, ha spiegato, non è obbligato a richiedere ulteriori accertamenti se il certificato non dimostra chiaramente un impedimento assoluto.
Il secondo motivo di ricorso puntava su un aspetto più tecnico: secondo la difesa, il comportamento dell’autista – ossia circolare con un cronotachigrafo alterato – doveva essere sanzionato solo in base al Codice della Strada (articolo 179), e non come reato, per via del cosiddetto “principio di specialità”. Questo principio prevede che, in caso di norme sovrapposte, si applichi solo quella più specifica. La Suprema Corte ha però respinto questa tesi, confermando l’orientamento ormai consolidato (anche dalla sua sentenze del 2016) secondo cui l’illecito amministrativo previsto dal Codice della Strada e il reato dell’articolo 437 sono indipendenti e possono coesistere.
Il motivo? Le due norme tutelano beni giuridici differenti: il Codice della Strada si preoccupa della sicurezza stradale, mentre l’articolo 437 del Codice Penale mira a garantire la sicurezza dei lavoratori. In questo caso, il conducente aveva messo a rischio non solo gli altri utenti della strada, ma anche sé stesso e altri lavoratori, violando una tutela fondamentale prevista dalla Legge penale.
Rispetto alla sentenza del 2016, questa introduce un nuovo elemento, che riguarda l’autore della violazione. In passato, alcune sentenze avevano limitato l’applicazione dell’articolo 437 ai datori di lavoro, ossia a chi aveva una “posizione di garanzia” nei confronti dei lavoratori. Ma la Cassazione ha ribadito che il testo dell’articolo è chiaro: il reato può essere commesso da “chiunque” rimuova, danneggi o ometta cautele contro gli infortuni. Dunque, anche un semplice lavoratore – in questo caso il conducente del veicolo – può esserne responsabile.
La Corte ha anche deciso di non trasmettere la questione alle Sezioni Unite, ritenendo che non ci siano più dubbi interpretativi tali da richiedere un nuovo intervento chiarificatore. L’orientamento giurisprudenziale prevalente, ha spiegato, è ormai chiaro: in caso di manomissione del cronotachigrafo con successiva circolazione su strada, si configurano due violazioni distinte – una penale e una amministrativa – e l’autore può essere chiamato a risponderne per entrambe.
































































