La vendita di Iveco Group al colosso indiano Tata Motors per 3,8 miliardi di euro, annunciata il 30 luglio 2025, ha suscitato diverse reazioni sindacali nei principali Paesi europei in cui il gruppo è attivo con impianti di produzione. Si parla soprattutto d’Italia, Spagna, Francia e Germania. Nel mondo, il costruttore di veicoli industriali impiega circa 36mila persone, delle quali 14mila nella sola Italia. E proprio in Italia si registrano nelle ore successive alla dichiarazione della vendita le maggiori preoccupazioni.
La Fiom-Cgil ha assunto la posizione più netta, definendo l’operazione “gravissima” e accusando la proprietà di aver agito senza un confronto preventivo con le organizzazioni dei lavoratori. Secondo il segretario nazionale Samuele Lodi e il coordinatore per l’automotive Maurizio Oreggia, la Exor – azionista di riferimento – starebbe proseguendo nel disimpegno industriale dal Paese, privilegiando gli interessi finanziari degli azionisti. Il sindacato ha chiesto al governo italiano di esercitare i poteri speciali previsti dalla normativa del Golden Power per fermare la cessione, considerata lesiva dell’interesse nazionale.
Una posizione meno radicale, ma comunque critica, è stata espressa dalla Fim-Cisl. Il segretario generale Ferdinando Uliano ha parlato di “profonda preoccupazione” per la tenuta occupazionale e industriale del gruppo in Italia, sottolineando come il controllo di Exor – garantito nonostante una partecipazione azionaria del 27% – sia il frutto di una normativa societaria olandese che consente un’influenza ben superiore. A suo avviso, si tratta di una scelta deliberata, e non imposta dalle condizioni di mercato. Anche la Fim ha sollecitato un intervento del governo per impedire che Iveco perda il suo radicamento italiano.
Più prudente ma altrettanto vigile si è mostrata la Uilm, che con Rocco Palombella e Gianluca Ficco ha riconosciuto come positivo il fatto che non esistano sovrapposizioni produttive tra Iveco e Tata Motors e che siano stati sottoscritti impegni per mantenere la sede a Torino, salvaguardare gli stabilimenti e non ridurre i livelli occupazionali. Tuttavia, il sindacato ha messo in dubbio la solidità di queste garanzie, valide solo per i prossimi due anni, e ha espresso timori sul medio-lungo periodo, anche alla luce delle politiche europee in tema di transizione ecologica, giudicate “autolesioniste” e penalizzanti per l’intero comparto automotive.
La Fismic, infine, ha posto l’accento sulla necessità di salvaguardare posti di lavoro e strutture produttive, con un’attenzione particolare al sito di Brescia, attualmente in cassa integrazione. Il segretario locale Oreste Guercia ha riconosciuto che Tata rappresenta un attore globale di primo piano, ma ha indicato condizioni non negoziabili: nessun taglio al personale, nessuna chiusura di impianti, mantenimento della sede centrale a Torino.
In Francia, pur in assenza di prese di posizione articolate, fonti sindacali hanno espresso preoccupazioni per il clima di incertezza che aleggia sul futuro d’Iveco. I rappresentanti dei lavoratori hanno chiesto un confronto urgente con il ministero competente per ottenere chiarimenti sui piani industriali e garanzie per i siti produttivi e per l’occupazione. L’assenza di comunicazioni precise da parte dell’azienda ha aumentato il senso di instabilità tra i dipendenti francesi.
In Germania, il potente sindacato dei metalmeccanici IG Metall ha scelto un approccio cauto, ispirato all’esperienza maturata nelle precedenti ristrutturazioni del Gruppo. Quando nel 2012 Fiat Industrial decise la chiusura di cinque stabilimenti Iveco in Europa, inclusi tre in Germania, il sindacato riuscì a negoziare un piano che limitasse i licenziamenti attraverso prepensionamenti e ammortizzatori sociali. Oggi, la sigla tedesca mantiene una posizione di osservazione vigile, consapevole che operazioni di acquisizione da parte di attori extraeuropei necessitano di un controllo costante per garantire il rispetto degli impegni industriali nel tempo.
Anche in Spagna la vendita ha riattivato l’attenzione dei principali sindacati del settore, Ugt e Ccoo, che negli anni hanno già affrontato diverse crisi aziendali d’Iveco. Nel 2012 si opposero ai piani di ridimensionamento chiedendo il rispetto degli impegni pubblici. Più di recente, nel 2024, Ugt ha guidato una mobilitazione presso lo stabilimento di Madrid, con la partecipazione di tremila lavoratori. Di fronte alla nuova proprietà, le sigle sindacali spagnole hanno adottato un atteggiamento realistico, ma fermo nel chiedere il rispetto degli impegni occupazionali e produttivi, soprattutto per il sito madrileno, considerato tra i più importanti del gruppo.
Le diverse reazioni sindacali riflettono contesti nazionali differenti e una diversa esposizione al rischio. In Italia, la varietà e la durezza delle posizioni rivelano quanto Iveco sia percepita come un assetto strategico da difendere. In Francia, prevale un approccio istituzionale improntato al dialogo con le autorità, mentre in Germania, l’esperienza consolidata e la forza contrattuale di IG Metall orientano verso un’azione di vigilanza continua. In Spagna, il confronto si basa su una lunga consuetudine di trattative e mobilitazioni. Nonostante le differenze, però, le preoccupazioni di fondo sono comuni. Tutti i sindacati chiedono garanzie solide sulla tutela dell’occupazione, non limitate ai prossimi due anni, e temono che gli impegni attuali non siano sufficienti a scongiurare ristrutturazioni o delocalizzazioni.































































