Il governo del Kerala, in India, ha avviato un’azione legale senza precedenti contro Mediterranean Shipping Company, chiedendo un risarcimento di 95,31 miliardi di rupie, pari a circa 950 miliardi di euro. La causa, depositata il 7 luglio 2025 davanti all’Alta Corte di Ernakulam, nasce dall’affondamento della portacontainer Msc Elsa 3 e dai gravi danni ambientali ed economici che ne sono seguiti lungo le coste dell’India sud-occidentale.
L’incidente è avvenuto tra il 24 e il 25 maggio 2025, quando l’unità, battente bandiera liberiana e con una capacità di 1.730 teu, colò a picco a circa 38 miglia nautiche da Kochi, in piena zona economica esclusiva indiana. Partita da Vizhinjam, la nave segnalò un’improvvisa emergenza con un forte sbandamento di 26 gradi dovuto a un allagamento. L’equipaggio lanciò la richiesta di soccorso e venne evacuato grazie all’intervento della Guardia Costiera e della Marina indiana. Tuttavia, nelle prime ore del 25 maggio, l’imbarcazione affondò portando con sé 640 container, tra cui tredici con merci pericolose, e oltre 450 tonnellate di carburanti, tra olio combustibile e gasolio marino.
Le acque del Mar Arabico vennero rapidamente contaminate da una marea nera, mentre sulle spiagge del Kerala e persino nel vicino Tamil Nadu apparvero centinaia di sacchi di pellet plastici, i cosiddetti “nurdles”. L’impatto sull’ambiente è stato immediato e visibile: tra le vittime della dispersione, sono stati ritrovati anche delfini e un capodoglio con tracce sospette di microplastiche nello stomaco. Le Autorità locali hanno dovuto mobilitare squadre di emergenza e centinaia di volontari per contenere i danni, riuscendo a raccogliere almeno 60 tonnellate di materiali plastici.
Altrettanto gravi le conseguenze economiche: il Governo ha imposto il divieto di pesca entro un raggio di 20 miglia nautiche dal luogo del disastro, lasciando senza reddito oltre 40mila pescatori tra Alappuzha e Kollam. Secondo fonti indiane, la sfiducia dei consumatori ha portato al crollo del mercato ittico, aggravando ulteriormente le difficoltà delle comunità costiere. Per far fronte all’emergenza, le autorità del Kerala hanno distribuito aiuti economici a più di 105mila famiglie, con contributi diretti anche per la riparazione di barche danneggiate dall’impatto con i container alla deriva.
La richiesta di risarcimento avanzata dal Kerala si fonda su tre voci principali: l’inquinamento ambientale e il degrado del litorale, le spese sostenute per il ripristino e le misure di contenimento, e infine le perdite economiche subite dal settore della pesca. La voce più consistente riguarda proprio l’impatto ambientale, che da sola rappresenta oltre il 90% del totale stimato. Dal punto di vista giuridico, l’azione si fonda sull’Admiralty Act indiano del 2017, sulla Convenzione internazionale Oprc del 1990 e sul Marpol Annex I, che stabiliscono la responsabilità dell’armatore in caso di dispersione di carburanti. Il Kerala invoca anche la Merchant Shipping Act del 1958, che obbliga alla rimozione del relitto e alla bonifica dell’area colpita.
A sostegno della propria posizione, lo Stato ha ottenuto il sequestro condizionato della portacontainer Msc Akiteta II, attraccata nel porto indiano di Vizhinjam. La Corte ha riconosciuto un controllo comune tra le due unità, applicando la dottrina della “sister ship” per garantire che gli assetti di Msc non siano trasferiti al di fuori della giurisdizione indiana. Altre due navi della compagnia erano già state poste sotto sequestro per azioni promosse da importatori privati che avevano perso carichi nell’incidente.
Le questioni assicurative si presentano complesse. La nave affondata, costruita nel 1997, era coperta da una polizza Hull & Machinery, ma il suo valore residuo era ormai limitato. Le responsabilità legate all’inquinamento e alla rimozione del relitto sono invece coperte dal Protection & Indemnity Club, parte del sistema mutualistico dell’International Group, che prevede massimali fino a un miliardo di dollari. Tuttavia, se dovessero emergere carenze di manutenzione o violazioni non dichiarate nei controlli portuali, parte delle coperture assicurative potrebbe venire meno.
Greenpeace e altre Ong locali hanno chiesto la rimozione immediata del carburante ancora presente nei serbatoi della nave affondata, stimato in 300 tonnellate, minacciando di ricorrere a procedimenti internazionali. Il Governo indiano, nel frattempo, ha protestato presso l’Organizzazione Marittima Internazionale per la diffusione della pratica delle bandiere di comodo, chiedendo regole più stringenti sui carichi pericolosi e sulle condizioni delle navi.
Al di là dell’aspetto giudiziario, il caso della Msc Elsa 3 potrebbe portare a una svolta per la normativa marittima in India. L’affondamento ha infatti messo in luce i rischi legati all’uso di navi vecchie e strutture societarie opache, aprendo la strada a una possibile revisione delle normative assicurative e delle responsabilità internazionali. Il Kerala spera che la sua azione possa portare a una compensazione storica, ma il successo dipenderà dalla capacità di dimostrare in modo incontrovertibile l’entità dei danni ambientali e di mantenere la compagnia sotto il controllo della giustizia indiana.

































































