Se non ci saranno rinvii – come è già avvenuto più volte per i dazi - il 14 ottobre 2025 entreranno in vigore negli Stati Uniti nuove tasse portuali che colpiscono in modo mirato le navi in qualche modo connesse alla Cina, sia per origine costruttiva sia per proprietà o gestione. Il provvedimento, voluto da Washington per ridurre la dipendenza dal gigante asiatico nella cantieristica navale, costringerà le principali compagnie internazionali a ridistribuire le proprie flotte e a ricalibrare i servizi sulle rotte transpacifiche.
Il nuovo regime tariffario prevede un’imposizione differenziata, con un impatto economico potenzialmente enorme per gli operatori. Le navi gestite da società cinesi dovranno pagare inizialmente 50 dollari per tonnellata netta, una cifra destinata a salire a 140 dollari entro il 2028. Anche le navi solamente costruite in Cina, pur non essendo controllate da armatori cinesi, saranno soggette a tariffe specifiche che partiranno da 18 dollari per tonnellata netta o 120 dollari per container, fino a raggiungere rispettivamente 33 e 250 dollari. La tassa potrà essere applicata fino a cinque volte l’anno per ciascuna nave. In termini concreti, un portacontainer da 10mila teu con una stazza netta di 70mila tonnellate potrebbe arrivare a pagare nell’arco di tre anni tra 3,5 e 9,8 milioni di dollari in diritti portuali supplementari.
Non sorprende dunque che le grandi compagnie abbiano già iniziato a riorganizzare le proprie strategie. Cma Cgm ha dichiarato che utilizzerà la flotta costruita in cantieri non cinesi per garantire i collegamenti con gli Stati Uniti. Con meno della metà delle sue circa 670 navi di origine cinese, la compagnia francese ritiene di poter ridistribuire le unità senza subire contraccolpi significativi. Anche Maersk appare relativamente al riparo, dal momento che solo il dieci per cento della sua flotta risulta coinvolta dalle nuove regole. La società danese ha già confermato che eviterà d’impiegare navi costruite in Cina sulle rotte verso gli Stati Uniti, destinandole ad altri mercati. Più complessa appare invece la situazione di Zim, che effettua oltre la metà delle sue chiamate portuali statunitensi con navi di costruzione cinese, molte delle quali noleggiate a lungo termine. Con quasi la metà della capacità complessiva impiegata sulla rotta Asia–Nord America, la compagnia israeliana rischia di trovarsi in una posizione di particolare vulnerabilità.
Un elemento che – almeno in questo caso – sta favorendo le compagnie è la riduzione dei traffici container tra Cina e Stati Uniti, causata da fattori economici e geopolitici. Almeno sei servizi settimanali tra Cina e Stati Uniti sono stati sospesi, con una perdita potenziale di oltre 1,3 milioni di container da 40 piedi all’anno. Parallelamente, il numero di viaggi cancellati è cresciuto in maniera esponenziale: la capacità programmata non impiegata è passata in poche settimane da 60mila a quasi 370mila teu. Ne derivano riduzioni significative dell’offerta, con un calo del 12 percento tra Asia e costa occidentale degli Usa e del 14 percento verso la costa orientale. Hapag-Lloyd ha già tagliato il 30 percento delle spedizioni dirette dalla Cina, mentre Kuehne + Nagel segnala un crollo delle prenotazioni tra il 25 e il 30 percento.
Il ridimensionamento dei flussi verso gli Stati Uniti sta favorendo una crescita dei traffici in altre aree, in particolare verso i mercati Asean, l’Africa e l’Unione Europea. Hapag-Lloyd ha evidenziato la forte domanda dal Sud-est asiatico, con Thailandia, Cambogia e Vietnam in prima linea. Tuttavia, nessuno di questi mercati può compensare da solo la perdita di volumi legata alla Cina. Un altro scenario riguarda lo spostamento dei traffici verso porti canadesi e messicani, che potrebbero diventare terminali alternativi per merci destinate comunque agli Stati Uniti, con il conseguente vantaggio per le reti ferroviarie transcontinentali come Canadian National e Canadian Pacific Kansas City.
La nuova struttura tariffaria statunitense rischia anche di alterare la concorrenza. Compagnie come Evergreen, Hmm e Yang Ming appaiono avvantaggiate, grazie alla loro minima esposizione a unità costruite in Cina, mentre operatori come Zim o Cma Cgm dovranno fronteggiare pressioni più marcate. Nonostante ciò, i cantieri navali cinesi restano centrali per l’industria. Msc ha ribadito la volontà di continuare a ordinare nuove navi in Cina, sottolineando la competenza e la capacità produttiva che il Paese è in grado di garantire.
































































