All’inizio di settembre 2025 la Bosnia-Erzegovina è stata attraversata da una delle più grandi proteste degli autotrasportatori degli ultimi anni. Dal primo giorno del mese e per tre giorni consecutivi gli autotrasportatori hanno bloccato arterie stradali, valichi di frontiera e catene di approvvigionamento, causando una paralisi diffusa che ha coinvolto non solo le merci ma anche il traffico passeggeri. Al centro della protesta c’era l’associazione Konzorcijum Logistika, che rappresenta il 93% del traffico merci del Paese e riunisce circa 47mila lavoratori distribuiti in 600 aziende. Guidato dal coordinatore capo Velimir Peulic, l’organismo ha promosso l’azione sotto lo slogan “Basta così”, sfruttando il peso economico di un comparto che vale complessivamente 4,7 miliardi di euro. Grazie a questa posizione dominante, Logistika è riuscita a mobilitare circa seicento veicoli industriali, schierati in punti strategici vicino ai terminal doganali e lungo i confini con Croazia e Serbia, e a portare in piazza un numero di partecipanti tale da rendere effettivo il blocco quasi totale del trasporto merci.
La scintilla che ha acceso la protesta è stata la rigida applicazione della cosiddetta regola dei novanta giorni introdotta dall’Unione Europea, che limita la permanenza degli autotrasportatori bosniaci in territorio comunitario a un massimo di tre mesi ogni 180 giorni. La modalità di calcolo della norma, che considera ogni attraversamento di frontiera come un giorno intero, penalizza in particolare chi lavora sulle tratte di breve raggio. Per esempio, un autista che da Mostar si reca più volte al giorno al porto croato di Ploče, distante solo settanta chilometri, si vede contabilizzare tre giorni di permanenza in poche ore di lavoro. Questa interpretazione ha già portato a sanzioni verso 48 conducenti bosniaci in diversi Paesi dell’Unione, accusati di aver violato i limiti di permanenza pur svolgendo regolarmente la propria attività professionale.
Accanto alla questione europea, gli autotrasportatori hanno avanzato richieste più ampie: la parità di trattamento con i colleghi comunitari secondo l’accordo Aetr, il rimborso della metà delle accise sui carburanti e uno sconto equivalente sui pedaggi autostradali, il riconoscimento dello status di esportatori di servizi che aprirebbe l’accesso a vantaggi fiscali, la semplificazione delle procedure doganali e di frontiera e infine una riforma delle regole interne sulla formazione dei conducenti, oggi costosa e rallentata da lunghi tempi di accesso alla professione. Secondo Logistika, il peso delle barriere burocratiche e dei costi eccessivi ha già spinto molte imprese a trasferire la propria sede in Paesi UE vicini, come Croazia e Slovenia, con conseguente perdita di posti di lavoro e competenze per la Bosnia.
Gli effetti dello sciopero si sono visti subito. L’Auto-Moto Club Bihamk ha segnalato la chiusura quasi totale dei principali valichi di frontiera per le merci, tra cui Izačić, Bijača, Orašje, Gradiška e Rača. Oltre 20mila tonnellate di merce sono rimaste ferme, le strade principali sono state invase da code chilometriche e i rallentamenti hanno coinvolto anche il traffico passeggeri, nonostante non fosse l’obiettivo iniziale della mobilitazione. La capitale Sarajevo è stata tra le città più colpite, con circa 4.000 tonnellate di merci bloccate e una circolazione quasi paralizzata. La protesta ha avuto ripercussioni anche oltre i confini, in particolare al valico di Ličko Petrovo Selo-Izačić, che collega Croazia e Bosnia, completamente bloccato con effetti significativi sui flussi commerciali regionali.
Sul piano politico, il ministro delle Comunicazioni e dei Trasporti, Edin Forto, ha cercato di stemperare i toni, sostenendo che la maggior parte delle richieste degli autotrasportatori era già stata accolta e riconoscendo che il problema dei novanta giorni può essere risolto solo con un intervento legislativo a livello europeo. Di segno opposto le dichiarazioni del presidente della Repubblica Srpska, Milorad Dodik, che ha colto l’occasione per rilanciare le proprie posizioni separatiste, definendo l’attuale assetto istituzionale del Paese un “errore sistemico” e chiedendo le dimissioni di Forto. Dodik ha espresso pieno sostegno agli autotrasportatori, arrivando a promettere loro cibo e acqua, in un chiaro tentativo di strumentalizzare la mobilitazione a fini politici interni.
La protesta si è conclusa il 3 settembre, dopo che il Governo ha accettato di soddisfare gran parte delle richieste avanzate. L’accordo, raggiunto la sera del 2 settembre, ha permesso la riapertura delle strade e dei confini. Restano però aperte le questioni di fondo, a partire dalla normativa europea, che sarà oggetto di un incontro fissato per il 10 settembre a Belgrado tra i rappresentanti del settore trasporti di tutta la regione balcanica e i funzionari della Commissione Europea. L’obiettivo è ottenere un allentamento delle restrizioni e una permanenza più lunga per i lavoratori non comunitari.































































