La crisi della Marelli, che ha accumulato un debito di 4,6 miliardi di dollari, è giunta a un punto di svolta con la richiesta negli Stati Uniti del Chapter 11, che corrisponde al concordato preventivo italiano. Questa azione potrebbe evitare la bancarotta e ristrutturare la società, che impiega 46mila persone in tutto il mondo, seimila delle quali in Italia. Un esito negativo potrebbe compromettere anche la filiera della produzione automobilistica europea, di cui Marelli è un importante fornitore. Oggi la società appartiene al fondo Kkr, che nel 2019 fuse la Magneti Marelli (rilevata da Fiat Chyrsler) con la giapponese Calsonic Kansei.
La crisi del Gruppo nasce dall’insieme di alcuni fenomeni che hanno colpito più o meno direttamente l’industria automobilistica, dalla pandemia di Covid-19 alla carenza di semiconduttori, dall’aumento dei costi energetici al rallentamento dei veicoli elettrici, sino ad arrivare oggi ai dazi statunitensi. Per salvarsi, Marelli ha già attuato in passato la riduzione di 18.600 posti di lavoro. Ora per sopravvivere i vertici aziendali hanno preparato un piano di ristrutturazione che dovrebbe essere finanziato con 1,1 miliardi di dollari. È già stato raggiunto un accordo con l’ottanta percento dei creditori, che otterrebbero il controllo della società (con uscita di Kkr) a fronte dell’azzeramento del debito. Kkr cederebbe l’intero Gruppo senza ricevere nulla, a fronte del pagamento di 6,2 miliardi di dollari fatto nel 2019 per acquisirlo.
In Italia, Marelli ha dieci stabilimenti e la richiesta del Chapter 11 ha allarmato i sindacati, che chiedono un’azione urgente da parte del Governo. Il ministro delle Imprese ha convocato un tavolo il 19 giugno 2025 con i vertici del gruppo, i rappresentanti sindacali e le istituzioni regionali. Sono esposti alla crisi anche gli stessi clienti di Marelli: Stellantis ha pagato anticipi sugli ordini per 454 milioni di dollari, Nissan con 313 milioni, Bosch con 54 milioni e Tesla con 26 milioni.