Giovedì 19 novembre 2015 passerà agli annali dello shipping per aver visto il Baltic Dry Index (l'indice che misura l'andamento dei noli delle navi portarinfuse secche) scendere sotto il minimo storico, raggiungendo il livello più basso mai toccato da quando esiste questo indicatore, ossia il 1985. Il BDI è sceso infatti a 504 punti, un calo del 33% rispetto a inizio anno e ben lontano dal picco massimo di 11.793 punti fatto segnare a maggio del 2008.
Eirik Haavaldsen, analista di Pareto Securities AS, ha spiegato a Bloomberg che "il problema principale è rappresentato dalla scarsità di carichi di minerali di ferro diretti in Cina". Haavaldsen ha poi aggiunto che "il mercato è disastroso e le rate di nolo riflettono questo andamento. Lo scenario è preoccupante e non ci sono segnali che la situazione possa migliorare a breve termine" per il dry bulk.
Al di là delle statistiche, i numeri sono drammatici per tutte le società armatoriali che hanno in flotta navi portarinfuse secche, perché i noli time charter sono talmente bassi da mettere in crisi qualsiasi azienda, anche chi pensava di aver investito a prezzi bassi. Secondo i dati di Confitarma, alla fine del 2014 erano 79 le navi portarinfuse secche battenti bandiera italiana e 37 le unità general cargo. Nella giornata di ieri la media del nolo giornaliero di una nave classe Handysize (portata lorda compresa tra 15.000 e 60.000 tonnellate) era di 4234 dollari, per una Supramax (60.000 tonnellate) era di 5000 dollari, per una Panamax (circa 75.000 tonnellate) era di 3737 dollari e per una Capesize (oltre 120.000 tonnellate) era di 5280 dollari. Tutte rate di nolo giornaliere ben al di sotto del break even.
Responsabile del crollo è l'eccesso di navi e di stiva disponibile sul mercato: secondo i dati della società di brokeraggio navale Intermodal alla data del 1 novembre scorso le bulk carrier "in acqua" erano 9623, il 2,5% in più rispetto allo steso periodo del 2014, e 560 unità sono nuove costruzioni appena consegnate dai cantieri navali (erano state 331 l'anno scorso). Negli ultimi due mesi di quest'anno ci sarebbero altre 215 navi pronte a entrare sul mercato (molte di queste saranno posticipate a gennaio) e altre 879 unità risultano ordinate ai cantieri navali.
Anche l'armatore italiano Cesare d'Amico, numero uno insieme al cugino Paolo dell'omonimo gruppo armatoriale, ha parlato della crisi del dry bulk intervenendo al secondo Forum Shipping&Intermodal Transport dove ha dichiarato: "È qualcosa che abbiamo già vissuto in passato e che ciclicamente avviene ma sono fiducioso che dalla seconda parte del 2017 ci sarà una ripresa sana. Fino a qualche tempo fa ero fiducioso che il rallentamento dell'economia cinese si potesse riassorbire abbastanza rapidamente nello shipping grazie ad altri fattori trainanti, in primis l'India, ma ora inizio a essere abbastanza pessimista perché credo appunto che ci vorrà molto tempo".
D'Amico a proposito dell'esposizione del suo gruppo nel business delle bulk carrier ha poi aggiunto: "Abbiamo avviato un piano d'investimenti importante negli anni passati ma siamo consapevoli di aver acquistato navi al giusto prezzo che sono tutte finanziate. Inoltre abbiamo riserve per affrontare senza problemi i prossimi due anni di sofferenza e poi il mercato si riprenderà". Poi ha annunciato che a gennaio 2016 il Gruppo d'Amico aprirà una nuova sede in Cile.
Nicola Capuzzo
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