Il 22 dicembre 2025 migliaia di autotrasportatori ungheresi hanno paralizzato Budapest con una manifestazione senza precedenti negli ultimi anni per dimensioni e impatto sulla circolazione. Al centro della protesta c’è l’aumento dei pedaggi stradali deciso dal governo per il 2026, con incrementi particolarmente rilevanti sulle strade principali, giudicati insostenibili dalle piccole e medie imprese del settore trasporto e logistica.
La mobilitazione è la conseguenza diretta del Decreto pubblicato il primo dicembre 2025 nel Magyar Közlöny (che corrisponde alla Gazzetta Ufficiale) dal ministero delle Costruzioni e dei Trasporti, guidato da Lázár János. Il provvedimento prevede un adeguamento del 4,3% dei pedaggi sulle autostrade, in linea con l’inflazione, ma introduce aumenti superiori al 50% sui tratti di rete ordinaria utilizzati dal traffico pesante. Secondo il Governo, la misura ha lo scopo di spostare i flussi dei camion verso la rete a doppia carreggiata, riducendo rumore, incidentalità e impatto ambientale nei centri abitati attraversati dalle strade principali. Le associazioni di categoria hanno però denunciato l’assenza di un confronto preventivo e il rischio di un forte squilibrio competitivo a danno delle imprese di minori dimensioni.
Il 19 dicembre il ministero ha annunciato un’intesa con sette organizzazioni rappresentative del settore, che riduce l’aumento complessivo sulle strade principali al 35%, articolato in due fasi tra gennaio e marzo 2026. L’accordo comprende inoltre strumenti di calcolo dei pedaggi e una verifica periodica delle limitazioni regionali al traffico pesante. Nonostante ciò, una parte rilevante degli autotrasportatori ha rifiutato l’intesa, ritenendola sbilanciata e non rappresentativa delle esigenze delle piccole e medie imprese.
Le proteste si sono concentrate in particolare sul ruolo dell’associazione dell’autotrasporto Magyar Közúti Fuvarozók Egyesülete, tra i firmatari dell’accordo. L’associazione è presieduta da Barna Zsolt, amministratore delegato di Waberer’s International, uno dei maggiori operatori logistici dell’Europa centrale. La società è controllata per il 52% da István Tiborcz, genero del primo ministro Orbán, che ne ha acquisito la maggioranza nel 2023. Secondo gli organizzatori della protesta, questa sovrapposizione tra rappresentanza associativa e grandi gruppi industriali avrebbe inciso sull’esito delle trattative, favorendo le imprese con flotte estese, più capaci di assorbire gli aumenti o di beneficiare di condizioni agevolate.
La protesta ha coinvolto anche settori collegati alla logistica, in particolare l’agricoltura. La Mosz, organizzazione rappresentativa delle cooperative agricole, esclusa dal negoziato, ha stimato un aggravio di costi superiore a 5 miliardi di fiorini, pari a circa 12,5 milioni di euro, a carico della filiera agricola. Secondo l’associazione, l’aumento dei pedaggi verrebbe trasferito lungo la catena di approvvigionamento, incidendo sui prezzi finali dei prodotti alimentari.
La manifestazione del 22 dicembre si è svolta con un lungo corteo di camion che ha attraversato i principali assi di Budapest, dall’ingresso dell’autostrada M3 fino a piazza degli Eroi. Gli organizzatori hanno stimato la partecipazione di circa duemila veicoli industriali. Le Autorità hanno consentito solo a una parte dei mezzi di raggiungere il centro, mentre gli altri hanno svolto un percorso anulare attorno alla città. Si sono registrate code fino a tre chilometri nei punti di accesso, ma la protesta si è svolta senza incidenti.
Nel corso della mobilitazione è stato diffuso un documento articolato che affronta, oltre ai pedaggi, temi strutturali del settore, tra cui la rappresentanza sindacale, il sistema sanzionatorio, i tempi di pagamento delle prestazioni di trasporto, la concorrenza tra operatori e il riconoscimento professionale degli autisti. Il contenuto delle richieste evidenzia un malessere diffuso legato all’aumento dei costi operativi, alla pressione normativa e alla percezione di un mercato sempre più concentrato.
Il Governo ha reagito ribadendo la validità dell’accordo del 19 dicembre e sottolineando la necessità di indirizzare il traffico internazionale sulla rete autostradale. Lázár János ha escluso che l’obiettivo sia l’aumento delle entrate fiscali, sostenendo che in passato i veicoli pesanti sfruttavano in modo eccessivo le strade secondarie per ridurre i costi di transito. Le forze di opposizione hanno invece espresso sostegno ai manifestanti, collegando gli aumenti dei pedaggi alla più ampia questione della concessione autostradale di 35 anni affidata nel 2022 al consorzio Mkif, riconducibile a gruppi imprenditoriali vicini al Governo.
La concessione, del valore stimato tra 15 e 17 mila miliardi di fiorini, pari a 38-43 miliardi di euro, è oggetto di una procedura d’infrazione da parte della Commissione Europea per presunte carenze di trasparenza e per la durata ritenuta eccessiva. Secondo analisi indipendenti, nei primi anni di gestione il canone versato dallo Stato avrebbe superato gli investimenti effettivi in manutenzione, generando margini immediati per il concessionario.
Dal punto di vista economico, gli autotrasportatori avvertono che gli aumenti del 35% potrebbero collocare l’Ungheria tra i Paesi con i pedaggi più elevati d’Europa, dopo la Svizzera. Alcuni giornali ungheresi segnalano già riduzioni di personale e ipotesi di uscita dal mercato da parte di numerose piccole e medie imprese. A partire dal 1° gennaio 2026, inoltre, entreranno in vigore ulteriori modifiche al sistema di gestione dei pedaggi e un aumento generalizzato delle sanzioni stradali, elementi che contribuiscono ad accrescere l’incertezza operativa per le imprese della logistica.
Pietro Rossoni
































































