Dopo la manifestazione del 22 dicembre 2025 a Budapest – cui hanno partecipato, secondo gli organizzatori, tra 1.500 e 2.000 camion - la protesta degli autotrasportatori ungheresi è entrata in una fase di pausa legata alle festività natalizie. Il principale risultato immediato è stato l’avvio di un canale di confronto diretto con il ministero delle Costruzioni e dei Trasporti, che ha fissato un primo incontro preliminare per il 5 gennaio 2026, primo giorno lavorativo dopo la chiusura amministrativa.
Secondo quanto dichiarato da Orosz Tibor, uno dei promotori della mobilitazione, il ministero ha ricevuto formalmente il documento con dodici richieste e si è impegnato ad avviare i negoziati nei primi giorni di gennaio. L’organizzatore ha definito l’apertura del dialogo un passo avanti rilevante, pur avvertendo che in assenza di cambiamenti concreti il movimento è pronto a tornare in piazza con iniziative di dimensioni maggiori già nel corso del primo mese del nuovo anno.
Il contesto normativo resta però invariato nel breve periodo. Dal 1° gennaio 2026 entrerà in vigore esclusivamente l’adeguamento inflazionistico del 4,3% sui pedaggi stradali per i veicoli industriali, mentre l’ulteriore aumento del 29,4% previsto per il 1° marzo è stato di fatto congelato in attesa dell’esito delle trattative. Se applicato, questo secondo scaglione porterebbe l’incremento complessivo dei pedaggi a circa il 35% rispetto ai livelli del 2025.
In parallelo al confronto aperto con i manifestanti, l’associazione dei trasportatori Magyar Közúti Fuvarozók Egyesülete ha confermato che a gennaio riprenderanno i negoziati con il ministero. L’obiettivo dichiarato dall’associazione è la revoca totale dell’aumento di marzo. La Mkfe ha rivendicato di aver già contribuito a ridimensionare l’aumento inizialmente ipotizzato dal Governo, che sarebbe stato superiore al 50% e concentrato in un’unica fase. Restano comunque sul tavolo temi strutturali come l’impatto delle nuove tariffe sul trasporto internazionale, le limitazioni di peso su ponti e strade secondarie e lo sviluppo di strumenti digitali per il calcolo dei pedaggi e la gestione delle autorizzazioni di trasporto.
Sul piano politico, il ministro dei trasporti Lázár János ha ribadito la linea dell’Esecutivo, sottolineando che l’accordo del 19 dicembre è stato raggiunto con sette organizzazioni rappresentative di circa il 70% delle imprese del settore. Allo stesso tempo ha riconosciuto la nascita di una rappresentanza alternativa, impegnandosi a confrontarsi anche con i promotori della protesta del 22 dicembre. La posizione del Governo resta orientata a scoraggiare il traffico pesante sulle direttrici più brevi e meno costose, ritenute penalizzanti per le comunità locali.
Un elemento nuovo emerso dopo la manifestazione è l’annuncio della costituzione di una nuova associazione indipendente dei trasportatori, la Független Fuvarozók Országos Szövetsége, che punta a rappresentare piccole e medie imprese non più allineate alle organizzazioni storiche. L’iniziativa nasce anche dalla contestazione della rappresentatività delle associazioni esistenti e dal timore che gli interessi dei grandi gruppi logistici prevalgano su quelli delle realtà di dimensioni minori.
Sul fronte economico, alcune analisi di settore ridimensionano l’impatto degli aumenti dei pedaggi sui prezzi al consumo. Secondo stime riportate dalla stampa specializzata, su un prodotto dal valore di 1.000 fiorini (circa 2,5 euro) il costo del trasporto incide per 100-150 fiorini (circa 0,25-0,38 euro), di cui solo 10-15 fiorini legati al pedaggio stradale (circa 0,03-0,04 euro). Anche con le nuove tariffe, l’effetto finale sui prezzi al dettaglio sarebbe nell’ordine dell’1-1,5%. Diversa la valutazione del settore agricolo: l’associazione nazionale delle cooperative agricole ha stimato costi aggiuntivi superiori a 5 miliardi di fiorini (circa 12,5 milioni di euro), evidenziando la forte dipendenza del comparto dal trasporto su strada.
Pietro Rossoni



































































