Alle 15.00 del primo dicembre 2025 i lavoratori portuali italiani si riuniranno a Roma in un presidio davanti al ministero dei Trasporti. La mobilitazione, convocata da Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti, richiama addetti provenienti da numerosi scali per chiedere l’attivazione del Fondo di accompagnamento all’esodo, previsto da cinque anni ma ancora non operativo. Secondo le tre organizzazioni, la misura rappresenta un passaggio necessario per ridurre l’impatto dell’invecchiamento della forza lavoro e garantire continuità al sistema portuale nazionale.
La protesta assume una dimensione particolare per la presenza congiunta delle principali associazioni datoriali. Ancip, Assiterminal, Assologistica e Uniport hanno deciso di partecipare al presidio, evidenziando che la convergenza tra imprese e sindacati nasce dalla tutela di un interesse comune: completare un percorso normativo già definito e rendere utilizzabili risorse che gli operatori portuali, pubblici e privati, stanno accantonando da anni. Come hanno spiegato le stesse associazioni, non è frequente che le rappresentanze aziendali manifestino insieme ai sindacati, ma l’eccezionalità della situazione ha portato a una scelta condivisa.
Il nodo centrale riguarda il Fondo per il prepensionamento, inserito nel rinnovo del contratto collettivo dei porti nel 2021 e successivamente recepito dal Decreto Legge 228 del 2021. Il meccanismo prevede che le Autorità di Sistema Portuale devono destinare l’1% delle tasse sulle merci al Fondo, una procedura che le stesse Autorità stanno seguendo. Dal gennaio 2022 le imprese versano inoltre un contributo mensile di 10 euro per 13 mensilità per ciascun lavoratore. Nonostante il quadro finanziario risulti attivo, lo strumento non può essere utilizzato in assenza del Decreto interministeriale che deve stabilire regole, ambito di applicazione e modalità operative. La mancata firma deriva da un conflitto di attribuzioni tra i tre ministeri competenti: per il ministero dell’Economia la costituzione del Fondo non è di competenza del ministero dei Trasporti, mentre per il ministero del Lavoro l’istituto dovrebbe essere gestito dall’Inps. Questo intreccio ha determinato cinque anni di rinvii, pur in presenza di risorse vincolate e già raccolte.
Le sigle confederali hanno sottolineato come l’inerzia istituzionale incida direttamente sulle condizioni dei lavoratori impegnati in attività che comportano esposizione continuativa a rischi. In un’intervista rilasciata a Collettiva, Angelo Manicone della Filt-Cgil ha spiegato che l’assenza del Fondo impedisce qualsiasi misura di anticipo del pensionamento e mantiene in operatività addetti oltre i 65 anni in mansioni fisicamente gravose, come la movimentazione in stiva. Manicone ha ricordato che la sicurezza richiede lucidità e prontezza dei riflessi, condizioni difficili da garantire con l’avanzare dell’età. Le tre organizzazioni sindacali ribadiscono che il lavoro portuale è caratterizzato da attività complesse e logoranti e che il ritardo accumulato rende improcrastinabile una decisione da parte del Governo.
Parallelamente, il settore discute il riconoscimento del lavoro portuale come attività usurante. A febbraio 2025 il Governo ha accolto un ordine del giorno che impegna l’Esecutivo a valutare sia l’operatività del Fondo sia il riconoscimento della natura usurante delle mansioni portuali. Nei mesi successivi il tema è stato rilanciato da iniziative territoriali e da una consultazione promossa dal Coordinamento nazionale porti della Usb, che nell’ottobre 2025 ha raccolto circa mille contributi. Le richieste convergono sulla necessità di un quadro normativo che tenga conto dell’esposizione a rischi fisici, della stagionalità dei carichi di lavoro e dell’introduzione di nuove tecnologie che modificano gli assetti organizzativi.
La partecipazione alla protesta da parte dei porti italiani conferma la dimensione nazionale della vertenza. Da Livorno è partito un pullman di lavoratori organizzato dalle strutture territoriali delle tre sigle, i cui segretari hanno richiamato l’età media elevata degli addetti delle banchine e la necessità di strumenti che consentano un ricambio ordinato delle mansioni. Analoga partecipazione proviene da altri scali, in cui la transizione tecnologica spinge verso una revisione dei profili professionali e della formazione continua. Secondo le valutazioni espresse dalle associazioni datoriali, l’istituzione del Fondo favorirebbe non solo l’avvicendamento generazionale ma anche una migliore organizzazione dei processi in una fase di trasformazione che include automazione, sistemi di guida assistita e applicazioni basate sull’intelligenza artificiale.
Le imprese chiedono un chiarimento definitivo sulle competenze istituzionali, segnalando che l’attuale stallo non permette né di avviare le misure previste né di utilizzare in altro modo le somme accantonate. Per le associazioni dei terminal la costituzione del Fondo è utile a sostenere l’adattamento del lavoro portuale ai nuovi standard operativi e a garantire un equilibrio tra esigenze produttive e tutela dei lavoratori. Sul piano sindacale, Filt-Cgil, Fit-Cisl e Uiltrasporti ritengono che l’attuazione del Fondo rappresenti un impegno già assunto dal Governo e ribadiscono che non si tratta di un intervento facoltativo.



























































