Il mondo ferroviario è tradizionalmente dominato dalla componente maschile, ma la situazione sta lentamente cambiando, come mostra il Women in Rail Report 2025, un rapporto realizzato da L&R Social Research e pubblicato dall’accademia tedesca Eva, su iniziativa congiunta dall’associazione delle imprese Community of European Railway and Infrastructure Companies (Cer) e della federazione sindacale European Transport Workers’ Federation (Etf). È la prima grande indagine sull’occupazione femminile nelle ferrovie europee dopo l’entrata in vigore dell’accordo europeo “omen in Rail, firmato nel 2021 e recepito da oltre il novanta percento delle imprese ferroviarie europee. L’intesa ha l’obiettivo di aumentare la presenza femminile nel settore, superare stereotipi e segregazioni professionali e garantire pari opportunità di carriera, toccando aspetti che spaziano dalla parità retributiva alla conciliazione tra vita e lavoro, fino alla salute e sicurezza e alla prevenzione delle molestie.
L’indagine si è basata su due sondaggi paralleli, rivolti rispettivamente a ventinove imprese ferroviarie di ventidue Paesi e a ventuno organizzazioni sindacali, con un campione che ha coperto circa 700mila lavoratori, quasi la metà della forza lavoro ferroviaria europea. I dati offrono una fotografia in chiaroscuro. Le donne rappresentano oggi il 23% del personale complessivo, in crescita rispetto al 21% del 2018, e arrivano al 25% se si considerano solo i nuovi ingressi. Il panorama varia però a seconda dei ruoli: nei mestieri tradizionali, come conduzione dei treni o manutenzione, la presenza femminile resta ferma tra il 5% e il 7%, mentre cresce in ambiti come l’IT, la gestione della circolazione e soprattutto tra il personale di bordo, dove tocca il 40%.
I dati sono più confortanti nelle posizioni di governo, dove le donne costituiscono il 28% dei manager al vertice, il 29% di quelli medi e il 34% dei board. Si tratta di numeri in crescita, che indicano un cambiamento culturale più rapido al vertice che nelle funzioni operative. Le imprese dichiarano di avere adottato politiche specifiche per l’uguaglianza di genere, presenti ormai nel 79% dei casi, ma i sindacati restano più cauti e spesso non confermano la stessa percezione di avanzamento. Solo un terzo delle organizzazioni dei lavoratori considera alta o piena l’implementazione dell’accordo, contro oltre la metà delle aziende, e anche la cooperazione bilaterale tra imprese e sindacati è giudicata ancora troppo debole.
Alcuni indicatori offrono comunque segnali positivi. Nel 2023, il 25% delle promozioni interne ha riguardato donne, quota superiore alla loro presenza complessiva. Anche nella formazione iniziale e continua la partecipazione femminile è ormai in linea con la media del settore. Sul fronte della conciliazione vita-lavoro le aziende dichiarano di offrire strumenti ampiamente diffusi, come riduzioni d’orario, flessibilità e lavoro da remoto, ma l’effettiva applicazione dipende dal tipo di mansione. Non a caso, il part-time resta uno strumento più usato dalle donne, così come i congedi parentali, indice di una distribuzione ancora squilibrata dei carichi familiari.
La questione delle retribuzioni rappresenta una delle aree più critiche. Due terzi delle imprese controllano la differenza di genere (gender pay gap), ma solo poco più di un terzo pubblica i dati. Le politiche di trasparenza salariale e le misure per garantire pari retribuzione a parità di lavoro stanno emergendo, ma con grande disomogeneità. Anche qui la percezione sindacale è più severa, segnalando carenze d’informazione e di controllo reale. Sul versante della salute e sicurezza, le aziende dichiarano di fornire dispositivi di protezione adeguati e strutture idonee per entrambi i generi, ma i sindacati confermano solo in parte questi progressi.
Un capitolo a parte riguarda la prevenzione delle molestie e del sessismo. La quasi totalità delle imprese sostiene di garantire la riservatezza delle vittime, di avere figure di riferimento dedicate e di promuovere campagne di sensibilizzazione, ma pure in questo caso le organizzazioni sindacali invitano alla cautela, sottolineando un’applicazione ancora non uniforme.
Il rapporto evidenzia anche alcune buone pratiche. In Francia, Sncf ha avviato un piano triennale contro il sessismo che prevede formazione obbligatoria, campagne di comunicazione e canali di segnalazione, con risultati positivi in termini di comportamenti e cultura interna. In Austria, Öbb ha lanciato una campagna multicanale di sensibilizzazione intitolata “Wir schauen hin”, che coinvolge personale e dirigenti in un percorso di consapevolezza e prevenzione.
L’Italia si colloca in linea con la media europea. Il gruppo Ferrovie dello Stato Italiane conta oltre 68 mila dipendenti, di cui il 20% donne, percentuale che sale al 23% tra i nuovi ingressi. L’azienda ha introdotto misure di conciliazione come part-time, lavoro da remoto e flessibilità, ma anche programmi di mentoring e percorsi di qualificazione per sostenere la crescita professionale femminile. Importante è l’attenzione al contrasto delle molestie, con un codice di condotta e la figura del consigliere o consigliera di fiducia all’interno del Comitato pari opportunità. Nel 2024 sono stati registrati 54 casi gestiti da questo organismo, un dato che, al di là dei numeri, dimostra l’esistenza di un presidio credibile e riconosciuto dai lavoratori.

































































