La sospensione per novanta giorni delle principali imposizioni doganali tra Stati Uniti e Cina, che ha ridotto drasticamente i dazi (dal 145% al 30% per quelli applicati da Washington, dal 125% al 10% per quelli di Pechino) è stata accolta con sollievo dai mercati. Ma non è il momento di abbassare la guardia, ammonisce il Freight Leaders Council, secondo cui la tregua commerciale non cancella le tensioni strutturali che continuano a minacciare gli equilibri globali.
Per il presidente dell’associazione, Massimo Marciani, la riapertura dei canali commerciali tra le due potenze è “una finestra strategica”, ma non può far dimenticare le questioni interne che frenano il potenziale logistico italiano. In particolare, il tema fiscale resta centrale: i porti italiani soffrono di uno svantaggio competitivo evidente rispetto agli scali del Nord Europa, dove i meccanismi di gestione dell’imposta sul valore aggiunto sono molto più favorevoli alle imprese.
Le conseguenze delle politiche tariffarie statunitensi sono già evidenti: dazi fino al 145% sulle merci cinesi hanno causato un rallentamento significativo dei traffici verso gli Stati Uniti, con una previsione di calo delle importazioni del 35% nei porti di Los Angeles e Long Beach, e impatti rilevanti anche sulla costa atlantica, da New York al New Jersey. Secondo la World Trade Organization, in assenza di un’intesa, il commercio tra Stati Uniti e Cina avrebbe potuto ridursi fino all’80%, mettendo a rischio intere catene di approvvigionamento.
Anche l’Italia ha avvertito gli effetti di questa instabilità, soprattutto nelle esportazioni verso gli Stati Uniti. Marciani ricorda che la logistica è spesso il primo indicatore di una crisi economica: quando i flussi si fermano, è già troppo tardi per intervenire. Eppure, avverte, la logistica continua a essere sottovalutata nelle decisioni politiche. Il Freight Leaders Council insiste sull’importanza di cogliere le opportunità offerte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Sono già disponibili oltre 130 milioni di euro in fondi pubblici che potrebbero generare quasi mezzo miliardo di euro di investimenti, soprattutto nella digitalizzazione del comparto. Ma il tempo stringe, e le risorse rischiano di rimanere inutilizzate se non si interviene con decisione.
Tra le proposte del Freight Leaders Council c’è l’urgenza di agire sulla digitalizzazione della catena logistica, sul potenziamento dell’intermodalità e sulla creazione di corridoi alternativi. Tuttavia, la questione fiscale rimane il cuore del problema. Il confronto con i Paesi Bassi è emblematico: a Rotterdam è in vigore il sistema del Postponed Vat Accounting, che consente alle imprese di rinviare il pagamento dell’Iva, registrandola semplicemente nella dichiarazione periodica. In Italia, al contrario, l’imposta va anticipata subito all’arrivo delle merci, aggravando la pressione finanziaria sulle aziende.
Marciani porta un esempio concreto: una nave carica di scarpe arriva a Rotterdam, e il produttore paga l’Iva al 21% solo quando vende la merce. Se la stessa nave attracca a Gioia Tauro, l’Iva al 22% va versata immediatamente, anche prima dello sbarco. In queste condizioni, conclude, è impossibile competere sul solo piano dell’efficienza logistica. Serve un campo da gioco fiscale equo. L’assenza di un meccanismo di differimento dell’Iva spinge molte aziende a preferire i porti del Nord Europa, nonostante la maggiore distanza dai mercati italiani.
Una scelta che sottrae traffico agli scali nazionali, rallenta la logistica interna e riduce le ricadute economiche sui territori. Eppure, secondo il Freight Leaders Council, il sistema logistico italiano ha le infrastrutture, le competenze e le imprese per essere protagonista nei traffici internazionali. Ma senza una visione strategica condivisa e senza un intervento fiscale che ristabilisca le condizioni di concorrenza, l’Italia rischia di restare ancora una volta ai margini.