Tra le prime analisi sull’attacco israeliano all’Iran iniziato nella notte tra il 12 e il 13 giugno 2025 c’è quella della società di ricerca norvegese Xeneta, che nel pomeriggio del 13 giugno ha diffuso una prima nota sulle conseguenze per il trasporto marittimo. Si legge che in un contesto già messo a dura prova da oltre un anno di crisi nel Mar Rosso, l’escalation del conflitto tra Israele e Iran accende nuovi e gravi timori per la sicurezza e la stabilità delle catene di approvvigionamento marittime globali. Peter Sand, analista capo di Xeneta rileva che “la geopolitica torna a minacciare la sicurezza dei traffici internazionali. È fondamentale auspicare una rapida de-escalation tra Israele e Iran per evitare conseguenze sistemiche”.
Il nodo centrale, secondo Xeneta, è lo Stretto di Hormuz: se il conflitto dovesse portare a una sua chiusura di fatto, gli effetti sarebbero immediati e potenzialmente devastanti per il trasporto di container: lo stretto rappresenta l’accesso principale ai porti del Golfo Persico, tra cui Jebel Ali, hub cruciale per i collegamenti con l’Asia e l’Europa. La società precisa che in caso di blocco, i servizi marittimi dovrebbero essere deviati verso la costa occidentale dell’India, aumentando la pressione su scali come Nhava Sheva e Mundra. Si prevede quindi una congestione portuale significativa, ritardi nelle consegne e un’impennata dei costi. Le compagnie marittime potrebbero inoltre introdurre sovrapprezzi legati alla sicurezza, aggravando ulteriormente l’impatto economico sugli operatori della logistica e sull’industria manifatturiera.
L’instabilità attuale si innesta su una situazione già compromessa dallo stallo nel Mar Rosso, dove i continui attacchi da parte dei ribelli Houthi sostenuti dall’Iran scoraggiano da mesi il transito delle navi portacontainer. Di conseguenza, molte rotte tradizionali che avrebbero dovuto transitare dal Canale di Suez sono state spostate verso il Capo di Buona Speranza, con costi maggiori e tempi di percorrenza allungati.
Secondo i dati di Xeneta, le tariffe spot dalla Cina all’Europa del Nord sono cresciute del 62% dal 1° dicembre 2023, mentre quelle verso la costa orientale degli Stati Uniti sono aumentate del 165%, segno evidente delle tensioni persistenti. La società ammonisce che le aziende esportatrici e importatrici dovranno affrontare una nuova fase d’incertezza, con margini compressi, costi lievitati e una pianificazione dei flussi sempre più complessa. La speranza, sottolinea Sand, è che la diplomazia riesca a disinnescare un’escalation che, se lasciata senza controllo, rischia di compromettere la stabilità del commercio globale per mesi.