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    Morto Mitraglia, camionista partigiano di 94 anni

    Nacque a Fiumefreddo, in provincia di Catania, il 18 aprile del 1921, primo di cinque figli di una famiglia contadina e iniziò a lavorare come bracciante a soli dieci anni. Nel 1940 venne reclutato nell'esercito, dove rimase fino all'8 settembre del 1943, quando sfuggì a un rastrellamento dei tedeschi. Si unì quindi alla 31a Divisione Garibaldi dei partigiani, che operava sui monti di Salsomaggiore col compito di rallentare i rifornimenti dei tedeschi lungo la Via Emilia. Dopo la guerra tornò in Sicilia e iniziò a lavorare come camionista, trasportando al Nord prodotti agricoli. Pubblichiamo una testimonianza di Mitraglia raccolta da Santina Sconza, presidente dell'Anpi di Catania.
    "A venti anni, nel 1940, sono chiamato alle armi e inviato a Torino alla scuola di Guerra di Cavalleria 2° squadrone Palafrenieri, dove mi occupo dei cavalli. Nel 1942 mentre sono momentaneamente trasferito alla Reggia di Venaria per occuparmi di alcuni cavalli malati, la sede della scuola di Guerra è bombardata durante un attacco aereo. Dopo il bombardamento, sono richiamato immediatamente a Torino e trasferito a Salsomaggiore, dove m'inviano a fare la guardia a due alberghi il Porro e il Valentini qui alloggiano i militari che frequentano la scuola ufficiali, oltre a noi vi era anche una guardia di civile.
    "Tutto procede senza problemi fino all'8 settembre 1943, il giorno dopo una moto tedesca con due militari, gira tra le case di Salsomaggiore, allarmati io e altri quattro militari ci rifugiamo a casa di Dante Battistini una delle guardie civili. Il 10 settembre arrivano diversi camion di tedeschi per un rastrellamento. Sono momenti drammatici non sappiamo cosa fare, le donne di casa Battistini ci convincono a strappare i documenti militari e passare per civili, così per copertura andiamo a lavorare in una fornace, per la cottura dei mattoni, diretta da Maugeri Sebastiano. Nella fornace lavora anche un vecchio operaio antifascista Runzoni, che di nascosto organizza i partigiani, tramite il suo aiuto siamo arruolati e armati e abbiamo le indicazioni per raggiungere le brigate partigiane in montagna. Ci incamminiamo per raggiungere i valichi controllati dai partigiani, ma attraversando un campo di mais, ci viene incontro una donna che grida: 'Scappate, tornate indietro, dove andate? Più avanti è pieno di tedeschi, c'è un rastrellamento!". Impauriti, torniamo di corsa alla fornace, dove Runzoni ci nasconde, per alcuni giorni, tra i mattoni che erano stati sistemati in modo da fornire degli anfratti dove riparasi e nascondersi.
    "Attestati sui monti di Salsomaggiore, attorno ai valichi di S. Antonio e Pietra Nera, c'erano i partigiani della 31° Garibaldi divisi in due gruppi distaccamento Bottoni e Vignali, da queste basi partivano le incursioni contro i trasporti tedeschi. I due distaccamenti prendono il nome da due caduti della battaglia di Luneto. La battaglia di Luneto avvenne il 14 luglio del 1944: le truppe partigiane avevano occupato tutta la zona delle montagne della provincia di Parma, e da qui compivano continui attacchi in pianura e ai reparti che transitavano sulla via Emilia.
    "Il comando tedesco per fermare la continua emorragia di mezzi e uomini decise un rastrellamento, con l'impiego di ventimila uomini oltre a numerosi mezzi blindati e aerei da ricognizione. Quel giorno un minuscolo gruppo di partigiani si oppose ai tedeschi per ritardare l'avanzata del nemico e facilitare la ritirata dei reparti partigiani, cinque partigiani trovano la morte tra cui i fratelli Rolando ed Emilio Vignali, Carlo Bottoni, Vittorio Sorrenti e Armando Leone.
    "Il nostro compito era di rendere insicura la via Emilia al passaggio dei tedeschi e di tenere sotto pressione il presidio di brigate nere di Salsomaggiore. Le incursione contro i camion nazisti avvenivano preferibilmente di notte ed essendo in pochi attaccavamo gruppi non troppo numerosi, cercavamo di fermarli con vari trucchi.
    "I Partigiani di Fidenza usavano la tattica di piazzarsi in mezzo alla strada in modo da far rallentare i camion che transitavano, ma i tedeschi si erano fatti molto sospettosi, e quando vedevano qualsiasi movimento lungo la strada aprivano immediatamente il fuoco. La nostra tattica era di far nascondere sul ciglio della strada un nostro compagno mentre noi ci appostavamo a 200 metri dopo, in modo che lui avesse tutto il tempo per identificare il tipo di trasporto che transitava e darci il segnale per l'attacco.
    "A volte i tedeschi furbescamente avevano con loro una donna che gridava: "Siamo civili" nella speranza che cadessimo nell'inganno.
    Una delle principali azioni cui ho partecipato, è stata l'attacco al villino Catena di Salsomaggiore una caserma fortino della brigata nera, nella notte tra 1 e il 2 novembre del 1944, l'azione nacque dalla necessità di liberare un nostro compagno caduto prigioniero, Eugenio Canali nome di battaglia "Geni".
    "All'attacco partecipò tutto il battaglione, il villino era una specie di fortezza difficile da espugnare e ben difeso, la nostra arma principale era una grossa mitragliatrice Breda 37, prima dell'attacco tagliammo i fili telefonici per impedire richieste d'aiuto. Piazzammo delle bombe per aprire dei varchi, questo incarico fu dato a " Ricciolino" un ragazzo fiorentino che si ferì, perché una bomba scoppiò all'improvviso. Lo scontro si protrasse fino alle 10 del mattino con la liberazione di Geni, che era stato torturato ed era irriconoscibile e di altri cinque ragazzi non partigiani prigionieri dei fascisti.
    "Cinque fascisti riuscirono a fuggire attraverso un tunnel, molti furono catturati e il fortino smantellato in modo da non poter essere più utilizzato. Diversi fascisti furono feriti durante l'attacco, il comandante della caserma morì alcuni giorni dopo a Parma per le ferite riportate.
    In questa occasione ho conosciuto un compagno di Giarre, Sicurella, col nome di battaglia "Riccardo" che ricopriva i gradi di comandante.
    "Altre azioni da noi compiute sono state due incursioni notturne alla polveriera di Noceto, dove ci siamo impossessati di notevoli quantità di munizioni.
    Alla stazione di Faenza, i nostri gruppi si sono impossessati di cinque cannoncini da 47/32 razziandoli da un treno tedesco mitragliato da aerei degli alleati.
    "Ho partecipato a numerose azioni, ero sempre in prima linea, una volta siamo andati alla caserma dei tedeschi di Salsomaggiore per impadronirci di alcuni mezzi di trasporto, in quel garage erano di guardia due russi che d'accordo con i partigiani, ci permisero di prendere due camion una macchina e una moto, loro con la scusa di essere nostri prigionieri si trasferirono in montagna a combattere al nostro fianco.
    "Quando la guerra volgeva al termine e il destino dei nazi-fascisti era ormai segnato, a Salsomaggiore tra i partigiani e le brigate nere si pervenne a una sorta di tregua, mi ricordo, una volta con tre compagni eravamo scesi fino al paese per un controllo, incontrammo un camion pieno di camice nere, che pur vedendoci e riconoscendoci, ha accelerato e sono spariti. Ho un ricordo particolare della staffetta partigiana "Vittoria", lei portava non solo le notizie dal paese ma soprattutto ci procurava da mangiare che otteneva con le tessere annonarie.
    "Il 25 aprile 1945, il nostro distaccamento è stato mandato a Milano per la sua liberazione, qui per noi la guerra è finita. Il nostro pensiero era il ritorno a casa, per aiutarci la fabbrica Legnano ci donò una bicicletta ciascuno e 12.000 lire, in cinque pensammo di comprare un'auto per il viaggio, tre siciliani, un calabrese e un tarantino, la Lancia sfortunatamente a Modena si ruppe.
    "Non avendo altre risorse vendemmo le biciclette, questa vendita insospettì gli uomini delle SAP, Squadre di Azione Patriottica, che avevano il compito di ostacolare il mercato nero. Avendo appreso del nostro contributo alla resistenza e dei nostri anni trascorsi in montagna, ci aiutarono. Con passaggi a bordo di camioncini e dei più disparati mezzi di trasporto siamo arrivati fino a Roma e da qui a casa.

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